Georgia: pericoli e ambiguità della rivolta nel nome dell’Europa

Attenzione alla sindrome del déjà-vu. In queste ore a Tbilisi, capitale della Georgia, sta andando in scena un dramma che somiglia molto a quello che venne vissuto a Kiev tra la fine del 2013 e i primi mesi del 2014. Una folla arrabbiata e coraggiosa ha preso d’assalto il parlamento, accusato di voler approvare una legge “russa” che limiterebbe la libertà di stampa e di organizzazione ma, soprattutto, renderebbe più complicato il processo di avvicinamento della Georgia all’Unione europea. Come Euromaidan, la rivolta popolare che cacciò il presidente ucraino Viktor Janukovyč accusato di aver rinunciato a firmare un accordo di collaborazione con Bruxelles, la protesta ha assunto subito toni fortemente ostili a Mosca, guardata dall’opinione pubblica georgiana con comprensibile timore dal tempo della guerra dell’agosto 2008. Allora, le truppe della federazione russa intervennero con brutalità in sostegno degli indipendentisti dell’Ossezia del sud e dell’Abkhasia che si erano rivoltati contro Tbilisi.

Ucraina 2013, Georgia 2023

georgia 3 Come fecero allora i “maidanisti” in Ucraina, i manifestanti georgiani agitano le bandiere europee e accusano il governo in carica di voler boicottare l’adesione del paese alla UE con l’introduzione di uno strumento illecito e in alcun modo rispondente ai criteri dello stato di diritto europeo di controllo sulle attività delle imprese con partecipazione straniera e sulla stampa sul modello della legislazione restrittiva adottata dalla Federazione Russa nel 2012.  In realtà, se è vero che in Russia la legge sugli “agenti stranieri” ha comportato un incremento dei controlli censori e della repressione della dissidenza (poi drammaticamente aumentati con l’inizio della “operazione speciale” in Ucraina), le cose in Georgia sono più complicate. Il capo dell’esecutivo, Irakli Garibashvili, è, con il suo partito “Sogno georgiano”, favorevole all’entrata in Europa e sostiene che il provvedimento contestato, il quale peraltro è stato presentato in parlamento da un altro partito (questo sì filorusso), “Potere al Popolo”, in una tempestosa seduta finita in rissa, non vuole in alcun modo ledere le libertà fondamentali. Tanto è vero che – ha detto – il governo investirà del giudizio sul progetto di legge la cosiddetta “Commissione di Venezia”, organismo del Consiglio d’Europa che esiste, quasi sconosciuto ai non addetti ai lavori, da una trentina d’anni proprio per giudicare la rispondenza delle leggi dei paesi che vi hanno aderito ai criteri dello stato di diritto. Se la legge verrà giudicata illegittima dalla commissione non se ne farà nulla, ha garantito.

Queste assicurazioni, però, non sono bastate a placare gli animi. Soprattutto dopo che a favore dei manifestanti e contro il governo è intervenuta in modo piuttosto pesante la presidente della repubblica Salomé Zourabichvili, la quale ha accusato esplicitamente l’esecutivo di voler usare la “legge russa” per boicottare il processo di avvicinamento a Bruxelles. Il punto vero della drammatica contesa, insomma, è l’Europa.

Anche in questo caso l’analogia con gli eventi dell’Ucraina del 2014 è abbastanza evidente. La prospettiva dell’adesione alla Ue, o comunque di un rapporto più stretto con essa, viene letta in modo quasi automatico come espressione di una scelta di schieramento antirussa, viene cioè considerata uno strumento per garantire un maggior grado di libertà alla politica nazionale di paesi che vivono all’ombra (e nel timore perenne) del Grande Vicino. È una tendenza molto evidente in nazioni che furono parte dell’Unione sovietica, come appunto la Georgia e l’Ucraina e anche le repubbliche baltiche, ma che riguarda un po’ tutti i paesi dell’ex impero nell’Europa orientale e centro-orientale, a cominciare dalla Polonia.

I rischi dell’identificazione Ue-NATO

Questo atteggiamento, in qualche misura comprensibile, ha però conseguenze potenzialmente nefaste per la natura e la costituzione politica dell’Europa così come è stata costruita fino al momento dell’allargamentogeorgia 2 della comunità verso l’est. Lo spirito “europeo” che anima i paesi dell’ex impero sovietico è fondamentalmente nazionalistico, contrario alla Russia e al suo neoimperialismo putiniano. E non è detto che il nazionalismo debba trovarsi i suoi oggetti di inimicizia solo nella Federazione Russa: la storia di quella parte d’Europa ha patito molte drammatiche conseguenze di rivendicazioni etniche e incertezze di confini, e non tutte sembrano relitti del passato. Se per i paesi fondatori dell’Unione l’Europa unita rappresenta il superamento dei nazionalismi, per le classi dirigenti e per gran parte delle opinioni pubbliche dei paesi orientali c’è il rischio che l’Unione venga identificata come garanzia e coronamento di una tendenza esattamente contraria.

Se questo è il pericolo, le classi politiche dell’occidente dovrebbero trarne le conseguenze. Una, per esempio, è rendersi conto del fatto che si è andati troppo avanti sull’equivoco di una impropria identificazione dell’Europa con la NATO. Per restare alla Georgia, non si può dimenticare che l’aggressione russa avvenne nell’agosto del 2018, poche settimane dopo il Consiglio atlantico di Bucarest in cui gli americani avevano cercato di forzare l’ingresso immediato dell’Ucraina e della Georgia nell’alleanza, bloccati da tedeschi, francesi e italiani, ma con la richiesta di adesione formale dei due paesi lasciata significativamente sul tavolo. Il capitolo dell’allargamento ad est della NATO è lungo e complicato e non vale la pena di tornarci su qui, ma è certo che se, come stanno facendo da troppo tempo a questa parte i responsabili delle istituzioni di Bruxelles, si offre ai russi materia per identificare l’alleanza militare con l’unione politico-economica non si rende un buon servizio alla chiarezza. Innanzitutto nell’interesse dei paesi che aspirano legittimamente ad entrare in Europa. Nei tempi dovuti e con le garanzie di democraticità e di rispetto dei diritti di tutti che saranno necessarie.