Franco CFA , balle a 5 Stelle
Ziller: è questo lo stile
dei governi autoritari

La crociata contro il franco CFA (Comunità finanziaria africana) come causa dell’immigrazione verso l’Italia e tra i pretesti della “guerra” dichiarata dai vicepremier Luigi Di Maio (M5S) e Matteo Salvini (Lega) alla Francia. Per avere  qualche dubbio basterebbe constatare che, secondo il nostro ministero dell’Interno, le nazionalità (e le monete) dei migranti arrivati sulle coste italiane nel 2018 sono queste, in ordine decrescente: Tunisia: dinaro – ex colonia francese); Eritrea (Nacfa – ex colonia italiana); Iraq (dinaro – ex inglese); Sudan (sterlina- ex inglese); Pakistan (rupia – ex inglese), Nigeria (naira – ex inglese), Algeria (dinaro – ex francese), Costa d’Avorio (ex francese – l’unico Paese che adotta il franco CFA e da cui sono arrivati solo 1.064 migranti). Comunque è sempre meglio chiarirsi le idee. Così Strisciarossa ne ha parlato col professor Jacques Ziller, francese, professore di Diritto dell’Unione europea all’Università di Pavia e presidente della “Societas Iuris publici europei”.

Professor Ziller, come nasce questa faccenda?

«In sostanza sono riprese le tesi di tal Mohamed Konare, sedicente leader di un Movimento panafricanista (in effetti del movimento non si trovano tracce, ndr). Il gioco economico e monetario francese garantirebbe un ferreo controllo della moneta di quei Paesi, oltre a un monopolio sulle ricche materie prime di cui abbondano. Lo scopo? Arricchire la Francia e le sue élite e impoverire quei popoli africani, costretti a fuggire verso l’Europa. Ultimamente il vicepremier Di Maio ha detto addirittura servirebbero sanzioni da parte di Ue e Onu contro il “colonialismo francese” ».

Che cosa c’è di vero?

«Niente. Il cosiddetto franco CFA fa parte di un impegno preso con quei Paesi dalla Francia al momento dell’indipendenza. In contropartita, il 50% delle riserve valutarie delle due Banche centrali sono depositate alla Banque de France, che fa parte del Sistema europeo di Banche centrali ed è, quindi, totalmente indipendente del governo francese. Negli Stati africani membri dell’Unione economica e monetaria Ovest-africana (Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo) e della Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (Camerun, Congo, Gabon, Guinea equatoriale, Repubblica centrafricana e Chad) vi è un acceso dibattito su vantaggi e svantaggi. Però è stata la Francia ad avere spinto ad aprirlo, sotto la presidenza di Hollande».

Quali sono le caratteristiche del franco CFA?

«È anzitutto una moneta comune a tutti quei 14 Stati sovrani, di cui 13 ex colonie francesi. Ciò facilita prima di tutto gli scambi commerciali tra loro».

Un’altra caratteristica?

«Il franco CFA è convertibile a tasso fisso con l’euro. Ha il doppio vantaggio di dare certezza sui tassi di cambio a esportatori e importatori per tutti gli scambi con Paesi dalla zona euro e per quelli in cui la valuta di riferimento è l’euro. In più, la fissità del tasso dà credibilità al franco CFA e lo protegge da attacchi speculativi. Si discute, invece, degli svantaggi per i movimenti di merci in cui la valuta di riferimento è il dollaro, poiché il tasso di cambio del franco CFA dipende da quello dollaro-euro: il che può giocare a vantaggio o a detrimento dei Paesi della zona CFA, secondo l’evoluzione del tasso. Il terzo elemento: le riserve valutarie delle Banche centrali sono messe in comune tra gli Stati membri, permettendo quindi un maggior equilibrio. Il punto chiave: la Francia garantisce la valuta e quindi aumenta la loro credibilità monetaria».

Quali sono gli obblighi per la Francia?

«Gli Stati africani membri devono controllare la loro spesa pubblica. Quindi il Tesoro francese può consentire anticipi in contanti a quei governi per il pagamento dei debiti, ma limitati al 20 % delle entrate di bilancio per ogni Paese. Ne risulta che tali governi non hanno possono indebitarsi illimitatamente e sono dunque in grado di trovare creditori sui mercati più facilmente di quanto lo sarebbero se si trattasse di valute sovrane di Paesi in via di sviluppo».

Quindi qual è il dibattito tra i Paesi membri e in Francia?

Emmanuel Macron

«Riguarda il contributo, o meno, di tale sistema allo sviluppo. C’è chi, tra i sovranisti francesi, ne chiede l’abolizione, poiché la garanzia del franco CFA è ben lontana dall’arricchire il Tesoro francese ed è un peso per le finanze pubbliche».

Quindi come giudica il punto di vista del italiano?

«Ho letto questa accusa: “La Francia gestisce a suo piacimento il 50% delle valute estere delle 14 ex colonie, investendole massicciamente in titoli di Stato emessi dal proprio Tesoro, grazie ai quali ha potuto finanziare per decenni una spesa pubblica generosa, sovente ignara dei vincoli di Maastricht”. Così si fa una totale confusione tra riserve valutarie ed entrate dovute all’esportazione di merci da tali Paesi. Peggio ancora, si afferma che “tra i numerosi vincoli imposti dagli accordi sul franco CFA, vi è anche il primo diritto per la Francia di comprare qualsiasi risorsa naturale scoperta nelle sue ex colonie”. Diritto che non esiste e sarebbe illegittimo sia rispetto ai trattati europei, sia rispetto agli accordi dell’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO), di cui sono membri Francia e Unione europea».

Però i due vicepremier insistono nell’accusare “la Francia di Macron”…

«Colpisce il vocabolario utilizzato. Non stupisce, invece, che Konare sia citato per avere detto che “ha fatto bene Matteo Salvini a chiudere i porti”.

È preoccupato, come francese e come europeo?

«I governi autoritari hanno sempre cercato un nemico all’esterno, in modo da potere compattare l’opinione pubblica all’interno. Il risorgere di tali politiche inquieta, tanto più che l’integrazione europea è stata ideata, costruita e sviluppata proprio per evitare tutto questo e garantire una pace duratura».