Francia, la protesta sulle pensioni continua. Ma la sinistra è divisa
Come le dimostrazioni del Primo Maggio hanno dimostrato, il movimento di protesta in Francia non tende a placarsi e il 6 giugno c’è stata un’altra giornata di mobilitazione. I commentatori politici , quasi all’unanimità, riconoscono che la sfida dell’opinione pubblica è stata nettamente vinta dai sindacati.
In queste ultime settimane numerosi eventi a cui hanno partecipato il Presidente della Repubblica Emmanuel Macron o altri ministri sono state disturbate dalla presenza rumorosa di cittadini, i quali dimostravano il proprio malumore spesso battendo delle pentole, che sono diventate un simpatico nuovo simbolo politico.
Macron non riesce a placare il malcontento

In occasione della finale della Coppa di Francia di calcio, Macron ha salutato i giocatori, prima dell’inizio della partita, negli spogliatoi e non in mezzo al campo come avviene normalmente. I sindacati avevano distribuito numerosi fischietti e si è voluta evitare una contestazione in diretta televisiva!
Macron ha promesso, due settimane fa, che in cento giorni avrebbe ricucito il suo rapporto con l’opinione pubblica presentando nuove riforme e nuovi progetti, ma lui e il governo sembrano essere in grave difficoltà e le dichiarazioni sbagliate, che non fanno che alimentare la rabbia e il malcontento, si succedono con una frequenza imbarazzante. Non ultima, quella del Presidente, il quale ha contrapposto una maggioranza silenziosa a quella che protesta: parlare di maggioranze silenziose è sempre sgradevole, ma diventa un vero e proprio errore politico quando, al contempo, si rifiuta ogni ipotesi di verifica popolare della riforma appena approvata.
Ne approfitterà la destra di Le Pen?
Da adesso in poi , però, l’attenzione deve essere rivolta anche ai partiti e non solo al governo e ai sindacati. In molti ritengono che ad approfittare di questa crisi sarà il Rassemblement National di Marine Le Pen. L’estrema desta si è opposta alla riforma ma senza aderire alle manifestazioni sindacali e, come sua consuetudine, il Primo Maggio ha celebrato Giovanna D’Arco e non la Festa del Lavoro. I sondaggi sono favorevoli a Marine Le Pen, la quale ha sottolineato anche le differenze con Giorgia Meloni rivendicando l’opposizione all’atlantismo come elemento decisivo della propria identità politica.
La sinistra non riesce a trovare l’unità

Queste previsioni elettorali inquietanti sono, in larga parte, giustificate dalla situazione dei partiti di sinistra, i quali non riescono a proporre uno sbocco politico credibile al diffuso movimento di protesta.
L’anno scorso, alle elezioni legislative, dopo essersi presentata divisa alle presidenziali, la sinistra era riuscita a costituire delle liste unitarie (Nupes) ottenendo un ottimo risultato. Era, però, evidente che si trattava di un’unità fragile e che occorreva lavorare alla formazione di una nuova classe dirigente anche per essere in grado di selezionare un candidato o una candidata autorevoli alla presidenza della Repubblica. Così, purtroppo, non è stato e anzi le spinte verso una nuova divisione si fanno ogni giorno più forti.
Pare evidente come Jean-Luc Mélenchon, anche per ragioni di età, non potrà essere tra quattro anni il dirigente politico capace di unificare i diversi partiti e le diverse culture politiche e la situazione è complicata non poco dalle prossime elezioni europee del 2024. Comunisti, verdi, socialisti e la France Insoumise di Mélenchon ritengono inevitabile presentarsi divisi, in ragione di alleanze diverse a livello europeo e a causa di programmi non conciliabili. Anche l’ipotesi di una lista unitaria socialisti-verdi sembra difficile, a causa dei dissensi interni e della paura di ulteriori divisioni.
Aumenta la distanza tra partiti e società
Questa situazione potrebbe diventare esplosiva se Macron decidesse, di fronte alle difficoltà del governo e all’instabilità parlamentare, di dissolvere l’Assemblea Nazionale – potere conferito al Presidente dalla Costituzione – e d’indire le nuove elezioni legislative insieme a quelle europee. A quel punto la sinistra si troverebbe di fronte a una scelta veramente difficile: come fare a presentarsi uniti a livello nazionale e divisi a quello europeo? La mossa di Macron punterebbe a convincere parte dell’elettorato che, malgrado tutto, di fronte a una gauche frammentata l’unica alternativa all’estrema destra sarebbero le liste del suo movimento, sperando così di recuperare anche voti di elettori ed elettrici che in questi mesi hanno protestato.
È facile, però, capire che si tratterebbe di un calcolo rischioso e dalla prospettiva politica limitata e forse ormai fuori tempo. Il rischio vero è che si dilati la distanza tra la società e i partiti e che, alla fine, il sommarsi di delusione e rassegnazione determino la vittoria dell’estrema destra. Insomma, le grandi proteste sociali possono esplodere e durare anche nel tempo, ma poi anche rifluire in assenza di forze politiche forti e capaci di selezionare e indicare obiettivi concreti e una prospettiva di lungo periodo.
Uscire dal presidenzialismo e dal leaderismo
Il movimento di questi mesi in Francia non ha solo criticato la riforma delle pensioni, ma anche il metodo con cui è stata approvata utilizzando gli strumenti costituzionali più autoritari della Quinta Repubblica. I partiti di sinistra dovrebbero, quindi, anche essere capaci di ripensare i loro modelli organizzativi : troppo spesso, infatti, sono partiti fondati sul ruolo determinante del leader o di ristretti gruppi dirigenti, incapaci di valorizzare la partecipazione democratica dal basso dei loro militanti e sostenitori. Bisognerebbe, quindi, anticipare nel loro modo di essere e di agire la riforma della politica e dello Stato che in tanti auspicano: uscire cioè alla crisi del presidenzialismo con un allargamento della partecipazione popolare e con un autentico coinvolgimento dei corpi intermedi.
Purtroppo, le cronache di questi giorni ci mostrano una realtà della sinistra politica francese molto lontana da queste esigenze.
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