Fermare il virus autoritario
che minaccia lo Stato di Diritto
In un articolo su The Guardian del 27 marzo 2020 il politologo olandese Cass Mudde ci avvertiva: “Will the coronavirus kill populism? Don’t count on it”. Negli stessi giorni veniva pubblicato l’indice annuale dello stato della democrazia nel mondo che mostrava una preoccupante decrescita delle democrazie cosiddette “liberali” o “complete” di cui usufruirebbe solo il 5.7% della popolazione mondiale suddiviso in 22 paesi fra cui la Norvegia al primo posto e la Svezia al terzo come paese membro dell’Unione europea. L’Italia è al 33mo posto con una media che la colloca fra le “democrazie imperfette”.
Il nuovo dispotismo
Gli studiosi dei sistemi democratici e dei regimi autoritari ricordano il libro pubblicato nel 1929 da Lord Hewart, Lord Chief of Justice of England, dedicato al nuovo dispotismo e cioè a un regime capace di subordinare il Parlamento, esautorare la Corte e i tribunali e rendere supremo il potere dell’esecutivo.
Come sappiamo, dopo la marcia su Roma del 1922, quasi tutta l’Europa è stata conquistata o invasa da regimi autoritari con l’eccezione, durante la seconda Guerra mondiale, del Regno Unito e della Svizzera neutrale.
I regimi autoritari fondavano il loro potere sulla necessità di far fronte a situazioni di emergenza per combattere contro nemici esterni o interni attribuendo ad un solo centro di comando il compito di agire e a leggi eccezionali le decisioni per affrontare con immediatezza e efficacia l’emergenza.
Novanta anni dopo il libro di Lord Hewart, il politologo australiano John Keane ha pubblicato The new dispotism, dedicato al virus dei populismi al potere incontrastato in vari stati del mondo (Cina, Russia, Corea del Nord, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Eritrea, Siria ed altri ancora) in cui vive il 35% della popolazione mondiale ma anche ai populismi emergenti nelle cosiddette democrazie liberali.
John Keane attira la nostra attenzione sul rischio che il virus dei populismi possa diffondersi come risposta a nuove emergenze, così come i regimi autoritari furono la risposta alle emergenze fra le due guerre mondiali.
Le analisi di Lord Hewart e John Keane così come l’avvertimento di Cass Mudde sono di grande attualità e interesse, non solo scientifico, di fronte alle risposte che gli Stati ‒ in ritardo e in ordine sparso ‒ hanno dato all’esplosione del COVID19 fra ottobre e novembre nella provincia di Hubei in Cina e da lì diffuso in tutto il mondo con un milione e mezzo (per ora) di contagiati e sessantacinque mila morti.
Emergenza sanitaria e Stato di Diritto
Ogni Stato ha adottato misure emergenziali che hanno inciso drasticamente sui diritti umani in regimi già autoritari o che hanno rafforzato i poteri degli esecutivi nelle democrazie liberali limitando la sicurezza del diritto per privilegiare il diritto alla sicurezza sanitaria, ma affidandosi anche al senso di auto-responsabilità delle cittadine e dei cittadini.
Le nostre costituzioni democratiche (pensiamo soprattutto a quelle europee nate dopo la seconda guerra mondiale in Europa occidentale, nella penisola iberica a metà degli anni ’70 e in una parte dell’Europa centrale e orientale dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica) non sono state attrezzate per far fronte a situazioni di emergenza sistemiche. Esse hanno previsto solo l’attribuzione dei “poteri necessari” al governo in caso di guerra (art. 78 della Costituzione italiana), intendendo come guerra i conflitti extraterritoriali fra Stati e non turbamenti sociali o rivolte popolari e sapendo che la Costituzione italiana statuisce che l’Italia “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11).
Le conseguenze sanitarie, economiche e sociali del COVID19 ci hanno trovati impreparati e hanno costretto i governi ad adottare nell’urgenza misure legislative che hanno inciso sui poteri dei Parlamenti nazionali, laddove le costituzioni prevedono sistemi multilivello, sulle competenze delle Regioni e delle città, suscitando polemiche e inefficienze.
Il pericolo Orbán
La situazione ungherese, in cui il premier Viktor Orbán ha fatto adottare dal parlamento una legge che gli attribuisce pieni poteri a tempo indeterminato, rappresenta un pericolo precedente sia perché l’emergenza sanitaria in Ungheria è molto ridotta rispetto alla maggioranza degli altri paesi europei sia perché Orbán sta adottando dal 2010 leggi liberticide che mettono in discussione i principi fondamentali dello Stato di diritto.
Di fronte all’instaurazione per legge di un regime autoritario le istituzioni europee, i governi degli Stati membri e i partiti politici europei, a cominciare dal PPE (a cui appartiene il partito di Orbán), hanno reagito con inaccettabile “prudenza diplomatica” come la Commissione Von der Leyen, che si è arrampicata sugli specchi dell’equilibrio fra misure di emergenza e rispetto dei diritti fondamentali, affermando che stava “monitorando” la situazione o non hanno affatto reagito.
Il voto del 30 marzo nel Parlamento ungherese non è stato un fulmine a ciel sereno perché l’assemblea aveva respinto la legge il 23 marzo, non essendo stata raggiunta la maggioranza dei 4/5, poiché era evidente che nel secondo voto Viktor Orbán avrebbe ottenuto la maggioranza qualificata richiesta dalla costituzione.
La Commissione europea aveva il diritto ed il dovere – fra il 23 e il 30 marzo – di “esprimere un parere motivato” sulla base dell’art. 258 TFUE, chiedendo al governo ungherese di “presentare le sue osservazioni” con urgenza e decidendo di adire la Corte di Giustizia se esso non si fosse conformato al parere.
Contestualmente, la Commissione avrebbe dovuto chiedere al Consiglio – sulla base dell’art. 7.1 TUE – di constatare a maggioranza dei 4/5 (e cioè di 22 paesi membri) “e previa approvazione del Parlamento europeo che esiste un evidente rischio di violazione grave […] dei valori di cui all’art. 2 (TUE)”.
Ci saremmo aspettati una risoluzione urgente della commissione giuridica del Parlamento europeo, considerando che l’art. 7.1 TUE può essere attivato anche su richiesta dell’assemblea, o l’azione di nove paesi membri, dato che il trattato prevede l’intervento di un terzo del Consiglio.
Ci saremmo anche aspettati l’immediata espulsione di FIDESZ dal PPE, ma nel gruppo non si è raggiunta la maggioranza dei membri e i deputati di Forza Italia si sono schierati con Viktor Orbán.
Infine, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa avrebbe potuto attivare l’art. 8 dello Statuto che prevede la sospensione di un paese membro che violi il principio della preminenza del diritto, pur non potendoci attendere una decisione simile dal Consiglio d’Europa, dove l’Assemblea ha reintegrato il 31 gennaio 2020 nei pieni poteri i deputati della Russia dopo la sospensione nel 2016 per l’annessione della Crimea.
Democratizzare l’UE
Per evitare che il virus autoritario ungherese contagi altri paesi è urgente un’opera di sanificazione giuridica dell’Ungheria usando tutti gli strumenti previsti dai trattati.
Vorremmo concludere ispirandoci alle analisi di John Keane e all’allarme di Cass Mudde per sottolineare che l’esperienza del COVID19 e le lacune costituzionali di fronte a emergenza sistemiche dovrebbero spingerci ad aprire con urgenza – dopo l’emergenza sanitaria – il cantiere della democrazia europea e della difesa dello Stato di diritto.
Il Movimento europeo ha avviato nel 2019 una iniziativa di cittadini europei rivolta alla Commissione e abbiamo presentato nel 2020 une petizione al Parlamento europeo.
La crisi che ha colpito l’Unione europea e che ha messo in luce le sue intrinseche debolezze deve spingere forze politiche, partner sociali e società civile a chiedersi se lo strumento più adeguato sia quello di una “conferenza europea sul futuro dell’Europa” senza legittimità democratica e senza potere di decisione destinata a durare ventiquattro mesi o se non sia venuto il momento di convocare delle “assise interparlamentari” da cui scaturisca un mandato costituente al Parlamento europeo che concluda il suo lavoro democratico in tempi rapidi coerenti con l’urgenza della stato dell’Unione europea.
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