Fera: a Merano un violino per raccontare l’anima e la vita di un artista

A Merano (Alto Adige/Südtirol), nel centro storico c’è un piccolo teatro annidato tra le mura che custodiscono il Kurhaus. Teatro bi-trilingue, da decenni, ora diretto da Johanna Porcheddu.

Programmazione curata, vanno in scena produzioni e artisti di livello internazionale, e molta di questa energia artistica viene da qui, dal Sudtirolo, dove non solo esiste ma ha anche modo di esprimersi, diversamente da quel che accade in molte altre realtà europee. Si può vivere da artisti qui sulle rive del Passirio. Così, senza divagare, e forte del suo essere punto nevralgico della comunicazione, ha pensato di chiamarsi, stringendo con una certa poesia, Theater in der Altstadt, Teatro nella città vecchia.

Parla con il violino in mano

Gradoni in cinque-sei ordini e ai loro piedi un palco basso, luci. Qualche giorno fa, un concerto di Marcello Fera. Violinista genovese di rango eccellente – frequenta i palchi di mezza Europa – e soprattutto compositore ben conosciuto. Non è stato un concerto in senso stretto: Fera si è inventato uno stare sul palco davvero poco frequentato dagli strumentisti e perfino dai compositori, perché suonando si è raccontato, ha raccontato la sua arte e la sua vita da artista. A cominciare da quando, in tenera età, si era accorto che la sua passione per l’archetto non collimava più, almeno nel linguaggio, con quel fare musica.
Ma che fa? Fera si mette a parlare con il violino in mano e racconta, con la presenza di un magnifico attore che non recita a fare l’attore. Così, i suoni si sono mescolati con le parole, con i ricordi, con le ansie che lo tormentano, o lo tormentavano, a proposito, ad esempio, a cavallo tra ruolo della tecnica e dell’ispirazione, argomento tra l’altro molto presente, anche se non riconosciuto, proprio oggi.

I palchi di mezzo mondo sono invasi da strumentisti eccezionalmente dotati di tecnica, dai quali il pubblico pretende con crescente vigore una prova di abilità. Sanno suonare come pochi, ma sanno fare musica mentre stanno perfettamente nel tempo ed eseguono partiture sfondate dal virtuosismo, dalla prestazione muscolare… Ecco, Marcello Fera fa musica, i suoi pezzi, quelli che a lui piacciono di più, sono un fantastico groviglio di frammenti di frequenze, da quelle che hanno reso Bach il compositore più stimato, agli echi di andature medioevali, sorvolando polke, destrutturando il pop e il pubblico segue davvero affascinato questa laica rappresentazione messa lì con lo stile di un piccolo grande uomo che non si guarda allo specchio quando parla di sè. Convincente.

“Canti dal silenzio”, da non perdere. Viva il teatro.