Federcalcio, ’o gallo ’ncoppa ’a munnezza
Si potrebbe scherzare come Gene Gnocchi: “Niente presidente Figc, niente c.t., niente presidente di Lega: il calcio italiano ha finalmente trovato il modo di non fare cretinate” (la rubrica sulla Gazzetta dello Sport). Oppure drammatizzare come Gianni Rivera: “Siamo riusciti a fare peggio della nazionale contro la Svezia. Sembrava impossibile”. Sta di fatto che il marasma in cui naviga il calcio italiano non sorprende più.
Adesso si invoca, secondo tradizione, l’uomo della Provvidenza, il Terminator, uno Schwarzenegger che uccida intrallazzi, incapacità e tutto quell’andazzo di inciucio che combacia perfettamente con il mondo politico italiano. Si vota per Camera e Senato, non si è votato per la Federcalcio. Persino qualche personaggio sta di qua e sta di là: Galliani e Lotito nelle liste di Forza Italia. Non è un caso che all’assemblea (fallita) del calcio si contrattasse anche nei pressi (o dentro?) dei cessi.

Il punto è che chi dovrebbe provvedere a rifondare il calcio si chiama Giovanni Malagò, presidente del Coni, quasi certamente futuro commissario della Figc. Accanto a lui, probabilmente Costacurta o Albertini. Roberto Fabbricini, segretario generale del Coni, funzionario valido e dentro le segrete cose dello sport italiano, dovrebbe fare il commissario della Lega Calcio. Le parti potrebbero anche invertirsi: il numero 1 del Coni alla Lega, Fabbricini alla Federcalcio (lo scrive Fulvio Bianchi su Repubblica.it). E Mancini sulla panchina della nazionale.
Dunque, la palla passa a Malagò. A colui, cioè, che ha fatto da spettatore ignavo al disgregarsi istituzionale e morale del calcio italiano. Una crisi che non ha un solo responsabile e che viene da lontano. Però Giovanni Malagò ha sostenuto Tavecchio, salvo sentirsi imbarazzato di fronte a qualche “uscita” borderline dell’ex numero 1 della federazione. Gli ha messo vicino un suo uomo, Michele Uva, manager molto considerato, santificato da tv e giornali. Ha chiuso gli occhi di fronte a tante sconcezze, senza intervenire. Invocare statuti e regolamenti non può bastare.
Eppure ne aveva di motivi, il presidente del Coni, per invertire un trend ed esercitare una sorta di moral suasion quando, ad esempio, il razzismo e l’antisemitismo continuano a farla da padrone negli stadi. O quando i conti di tanti club non tornano. O una nazionale offre prestazioni scadenti, non solo sul piano tattico e fisico. Adesso Malagò fa ’o gallo ’ncoppa ’a munnezza. Non credo ci sia bisogno di traduzione dal napoletano: diciamo che il presidente si pavoneggia su un cumulo di immondizia che lui stesso non ha saputo smaltire.
Fateci caso: il cosiddetto lunedì nero delle istituzioni del calcio è arrivato dopo la domenica nera (il giornalismo attuale ha molta fantasia) della Var. I lettori di Strisciarossa sanno che ho accolto con molto scetticismo l’introduzione della moviola in campo. Salutata ad un certo punto come garanzia di equità. Niente più Bar Sport si è detto dopo la prima parte del campionato. Infatti, siamo ancora qui ad accapigliarci e a sospettare. Ma ora, dopo le ultime polemiche, voglio spendere una buona parola per la Var. Che non c’entra proprio nulla con quanto è successo di recente: falli di mano in area, fuorigiochi e rigori dubbi, gol con i gomiti. A sbagliare sono gli uomini, non la macchina. Gli arbitri commettono errori anche vistosi, forse alcuni di loro hanno fondato un partito anti-Var , non accettando di essere corretti o diretti da un altro collega che sta davanti alla tv. Sbagliano perché sono arbitri mediocri che a volte si affidano alla moviola non essendo in grado di prendere una decisione. Non arbitravano bene prima, sono peggiorati con il tempo. Gli arbitri e chi li dirige sono uomini della Federcalcio, di questa governance impresentabile.
Resta un dato fondamentale, a mio modo di vedere: il calcio (ma non solo) è uno sport dove nessuna diavoleria elettronica potrà, in molte occasioni, offrire una immagine e una valutazione veritiere. Perché è uno sport di contatto, veloce, vittima oramai di troppe regole e regolette: la macchina non potrà mai valutare l’intensità di una mano appoggiata sulla spalla di un attaccante in area di rigore (Masina-Callejon) o se Cutrone alzi proprio il gomito per deviare il pallone in rete. Certo, sarebbe stato bello che il giovane attaccante del Milan avesse detto: arbitro, ho preso il pallone con il braccio, questo non è gol. Ma così saremmo in un altro mondo, nell’iperuranico pianeta dello sport pulito e immacolato. Tutti lo vorremmo ma non c’è. Sui social si è letto della grandezza di Federer e, al contrario, della miseria del nostro calcio, in una domenica vissuta da protagonisti in maniera diversa, contrapposta. Ecco, il calcio è il contrario di Federer: molto spesso, brutto, sporco e un po’ puttano. Forse anche per questo lo si ama di più.
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