Fase 2, governo
troppo prudente?
Ecco che fanno gli altri
Protestano. I barbieri di Napoli, i negozi di biciclette (come si fa a pensare a un a mobilità alternativa se restano chiusi?). Le autoscuole e i vescovi, estetisti e barman. Salvini – come l’ultradestra tedesca – lancia una manifestazione e poi fa dietro front, altri si appellano alla Costituzione (tradita). Ma intanto i social – e anche i media mainstream – brulicano della rabbia di chi credeva, a dispetto delle indicazioni di Conte e dei numeri del coronavirus, che il 4 maggio sarebbe stato il liberi tutti e basta. Perché la libertà. E i conti in rosso, il Pil che precipita. E il resto del mondo che spalanca le porte e finalmente respira – aria, luce e bambini a scuola – e noi invece. Ma sicuri che sia così?
La Cina, per dire. Riaprono con prudenza le scuole, ma solo per i ragazzi più grandi degli ultimi anni di medie e superiori. Non a Wuhan, dove si comincerà il 6 maggio e forse vale la pena ricordare che il lockdown laggiù è cominciato con due mesi di anticipo rispetto a noi ed è stato un’altra cosa. Oggi si può uscire di casa, è vero, ma per 90 minuti. Solo cibo e bevande da asporto in bar e ristoranti: si prenotano grazie a una app e possibilmente si pagano nello stesso modo. Mascherine per tutti, bambini inclusi.
Anche la virtuosa Corea del Sud, che è riuscita a tenere a freno il covid19 (240 vittime) ha appena diffuso un vademecum su come convivere con il virus, che sarà di casa, si stima, almeno per i prossimi due anni (leggi bene DUE anni): distanziamento, mascherine, stare il meno possibile nei locali pubblici, dove ci saranno barriere protettive e separatori. Niente cene faccia a faccia con gli amici, per intenderci. Persino la Nuova Zelanda con le sue 19 vittime e meno di 1500 casi riapre dopo 5 settimane di severo lockdown e lo fa con cautela: si va al lavoro, per il 75%, è vero. Ma distanza obbligatoria di due metri, centri commerciali chiusi, la maggior parte degli studenti a casa e ristoranti aperti solo per il take away.
In Europa le cose non sono poi tanto diverse, almeno nei grandi Paesi. La Germania che ha appena allentato i freni del lockdown, tra accuse incrociate di averlo fatto troppo presto o troppo tardi, in pochi giorni ha visto salire l’indice di contagio dallo 0,7 all’1. Con le aziende tedesche già al lavoro, Berlino ha riaperto da poco più di una settima i negozi (ma non i centri commerciali) e qualche scuola – le materne e i nidi sono sempre rimasti aperti ma per piccoli gruppi – mentre il rientro per i ragazzi che devono sostenere gli esami a fine anno è previsto dal 4 maggio, quando riapriranno anche i parrucchieri. Niente cerimonie religiose, raduni o grandi eventi fino al 31 agosto. Bar e ristoranti chiusi. Piccolo promemoria: in Germania si contano meno di 6000 morti e 154.000 contagiati, 40.000 posti in terapia intensiva.
Prudenza anche in Francia, che ha invece numeri comparabili con quelli dell’Italia e un Paese diviso tra aree ad alto contagio e altre quasi esenti. La fase 2 di Macron prevede aperture differenziate per dipartimento. Dall’11 maggio dove possibile riapriranno i negozi, parrucchieri e centri estetici ma niente bar e ristoranti che dovranno aspettare metà giugno. E neppure scuole, con l’eccezione auspicata di materne e elementari. Per i licei si parla di giugno. Stop anche al campionato di calcio. Lo slogan è “proteggere, testare, isolare”. Si naviga a vista, sperando che la prudenza eviti l’impatto sugli scogli di una nuova ondata di contagi, perché se i numeri non saranno quelli giusti la data dell’11 maggio potrà slittare.
Certo c’è anche la Danimarca (434 decessi) che per prima ha riaperto le scuole, ma prevedendo un distanziamento di 2 metri tra gli alunni (la metà, si stima, sono rimasti a casa). La Svizzera (1380 vittime) che ha già riaperto fiorai e parrucchieri e assistito con stupore alle file che si sono formate davanti ai McDonald’s: per la scuola si parla dell’11 maggio per i più piccoli, 8 giugno per le superiori salvo complicazioni. O l’Austria (536) che dal 1° maggio allenta le redini e dà via libera agli spostamenti nel Paese ma con obbligo di mascherina e dal 4 riapre le scuole con classi dimezzate e a scaglioni (gli ultimi rientraranno a fine maggio). Stessa linea relativamente soft nella Repubblica Ceca (218 le vittime), ma anche qua il governo ha predisposto un processo di uscita dal lockdown in 5 fasi, che oggi sono al vaglio di Londra come linee guida per una riapertura che al momento è rinviata a data da destinarsi: Boris Johnson, scampato al Covid19 dopo 48 ore di terrore in terapia intensiva, non sragiona più di immunità di gregge e suggerisce cautela.
La Spagna, che come Italia e Francia è stata colpita duramente, si tiene su una linea di prudenza. E qui, come ovunque in Europa, le polemiche tra fautori e detrattori della gradualità non mancano. Dopo l’ora d’aria ai bambini, ieri il premier Sanchez doveva annunciare i passaggi successivi alla scadenza del lockdown del 9 maggio. Ma alla fine il “Piano di transizione verso una nuova normalità” presentato al governo non prevede date precise: ci saranno quattro fasi di aperture progressive, il passaggio dall’una all’altra nelle varie regioni della Spagna sarà collegato ai dati dell’epidemia. Si ipotizza che le isole – e quindi il turismo – possano arrivare prima del resto del Paese. Si vedrà.
Da noi intanto trapelano i numeri del comitato tecnico scientifico (ah, gli esperti), che sgomberano il campo dalle facili ironie sui congiunti e le alzate di scudi in nome della libertà. Il liberi tutti significherebbe trovare 151mila posti in terapia intensiva già a giugno, 430mila entro il 2020. Siamo sicuri che è quello che vogliamo?
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