Pietro Bartòlo: “Cambiare il Patto delle migrazioni, serve umanità”
“Avevamo i poliziotti davanti. Ci avevano bloccati (con me i colleghi Alessandra Moretti, Brando Benifei e Pierfrancesco Majorino) su una strada sterrata a 300 metri dal confine tra Croazia e Bosnia, nel cuore della foresta di Bojna. Non si passa, non potete andare avanti, è pericoloso…”. Pietro Bartòlo, il medico dei migranti, deputato europeo del Gruppo Socialisti e Democratici, racconta le fasi, anche drammatiche, della missione parlamentare decisa ad andare a vedere da vicino cosa accade sulla cosiddetta “rotta balcanica”. Dove i migranti sono trattati come bestie, lasciati al freddo e al gelo, respinti senza mezzi termini da un’Europa diventata fortezza.
E cosa è successo?

“Passava il tempo e non c’era verso di convincerli che era un nostro diritto, ed anche dovere, di verificare la situazione. C’erano numerose testimonianze, anche giornalistiche, sul trattamento disumano della forza di confine croata verso i migranti che tentavano di proseguire il viaggio verso i paesi dell’Europa del nord. E quelli si erano messi come un muro umano. Inflessibili. Avevano, si era capito, ordini precisi. Avevano anche steso un nastro di plastica, come a dire questo è il confine. Cosa peraltro non vera”.
A quel punto non c’era sbocco…
“Ho capito che ci volevano far perdere tempo. E allora, approfittando di una loro distrazione, ho fatto uno scatto, io alla mia età!, e mi sono messo a correre verso il vero confine che stava laggiù a trecento metri. Avevo il cuore in gola. C’è stato un parapiglia. Non se lo aspettavano. I miei colleghi sono partiti dietro di me, due nostri bravi fotografi hanno preso a riprendere la scena, con i poliziotti che ci inseguivano…”.
E com’è finita?
“Ci hanno, ovviamente, raggiunti e fermati nuovamente piazzandosi in schiera. I fotografi erano stati bloccati con maniere spicce dietro di noi. Abbiamo telefonato all’ambasciatore croato in Italia e gli abbiamo detto che stavano compiendo una illegalità: i deputati europei hanno il diritto di svolgere la loro attività ispettiva su tutto il territorio dell’Unione e la Croazia non può fare alcuna eccezione. Abbiamo anche informato le autorità italiane. L’ambasciatore croato ha dato una giustificazione puerile: ha detto che il nostro comportamento avrebbe incoraggiato qualcuno a commettere illegalità. Evidente che si riferisse ai migranti che vagano nella foresta e che cercano di andare verso un destino migliore. Poi ha detto che avrebbe dovuto prendere istruzioni dai suoi superiori”.
Qual è effettivamente la situazione in quella porzione di confine, tra Croazia e Bosnia?
“Il nostro sospetto, quasi certezza, è che abbiano voluto impedirci di vedere come opera la polizia di frontiera croata, con trattamenti irrituali, illegali ed insopportabili vessazioni, che si tramutano in veri e propri atti di violenza e di prevaricazione, che riservano ai migranti. Che sono uomini, ma anche donne e minori non accompagnati. Se hanno trattato noi in quella maniera, figuriamoci come tratteranno i migranti in fuga. Cosa ha da nascondere la Croazia, Paese membro dell’Unione europea che è chiamata a rispettare i Trattati al pari degli altri Stati”?
Già, cosa c’è da nascondere, cosa non vogliono che venga alla luce?
“Voglio dire, a scanso di equivoci, che noi non siamo andati per fare una provocazione. Siamo parlamentari europei ben consci del nostro ruolo e delle nostre prerogative. La Croazia è membro dell’Unione e con le autorità nazionali intendiamo avere una serena interlocuzione. Dopo quel che è avvenuto, è ben evidente che ci aspettiamo delle risposte esaurienti e le pretenderemo come si fa tra partner di una stessa collettività istituzionale. Si è trattato di un episodio grave che ha bisogno di risposte non elusive. Non ci vengano a dire che non ci hanno fatto passare perché in quella terra ci sono mine antiuomo non rimosse”.
Poi siete andati nell’inferno del campo di Lipa, in Bosnia.

“Sapevo che ci saremmo trovati di fronte ad uno spettacolo insostenibile. Ecco, abbiamo visto di peggio. L’Europa non può, ancora chissà per quando tempo, voltarsi dall’altra parte. C’erano i volontari, brava gente, della Croce rossa, della Caritas e dell’Ipsia, a portare aiuti concreti. Ma come si fa a restare impassibili di fronte a gente che, nel ghiaccio e sotto una nevicata, cerca di lavarsi all’aperto con una bottiglia di acqua fredda? No, non possiamo, per il rispetto della dignità dell’uomo, tollerare una condizione disumana di migliaia di persone accampate sotto tende e coperte di stracci, dentro un metro di neve. Torniamo a Bruxelles per dare battaglia. Il Patto delle Migrazioni della Commissione europea deve essere cambiato e dobbiamo vincere anche la battaglia nel Consiglio europeo per una politica della migrazione fatta di accoglienza, umanità e solidarietà”.
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