Migranti, l’enorme naufragio in Calabria accompagnato dalle parole brutali di Meloni e Piantedosi

Una tragedia del mare enorme, una tra le peggiori della storia delle migrazioni attraverso il Mediterraneo.

I numeri certi sono solo quelli dei sopravvissuti, 81, (28 afghani, 16 pakistani, altri da Iran, Somalia e Palestina), e quelli dei morti recuperati, al momento 61 di cui 14 bambini e un neonato, lungo alcuni chilometri di spiaggia disseminati dai resti di un peschereccio di legno spezzatosi a causa del mare fortissimo ad appena 100 metri dalla terra.

Ma il mare Jonio, davanti alle coste del Crotonese, ne “nasconde” e probabilmente mai restituirà un numero imprecisato: tra i 100 e i 110, secondo i superstiti, tra i 10 e i 40 secondo la prefettura di Crotone. Un gioco al ribasso, quello delle autorità, rispetto al quale non dev’essere stato indifferente l’input di Matteo Piantedosi, il ministro dell’Interno. E proprio il ministro ha mostrato l’aspetto più feroce della sua inquietante maschera di “cattivo” del governo, peraltro in buona compagnia della presidente del consiglio Giorgia Meloni.

Il volto feroce del governo

I due, mentre ancora i soccorritori lottavano disperatamente per togliere dal mare i superstiti e ammassavano lungo alcuni chilometri di spiaggia i morti, non hanno saputo fare altro che dire “non devono partire” e ripetuto la solita litania applicata ai migranti africani che si muovono verso l’Italia dalla Libia, senza rendersi conto che avrebbero dovuto cambiare copione: il naufragio non è stato, infatti, il solito a cui siamo oramai abituati. No, stavolta il barcone proveniva dalla Turchia, da Smirne, e trasportava in prevalenza disperati di quattro differenti nazionalità: afghani, iraniani, pakistani e probabilmente qualche somalo.

Persone, esseri umani, che fuggivano senza ombra di dubbio da situazioni equiparabili alla guerra in paesi dove è in corso una inumana repressione verso chi rivendica libertà democrazia diritti. Per giunta la rotta marina ha il punto di partenza in Turchia dove il terremoto ha “distratto” le autorità dai controlli e la rotta di terra verso il nord Europa attraverso i Balcani è sempre meno praticabile per le vessazioni inflitte dai paesi attraversati.

Sostenere che “non devono partire” è semplicemente brutale, come se ai talebani e agli ayatollah gliene importasse qualcosa e a Erdogan in questo momento in particolare possa passare per la mente di intavolare una qualche discussione con l’Italia e l’Europa.

Ma Meloni, Piantedosi e tutta la maggioranza di destra (compreso il ministro degli Esteri Tajani, che per l’occasione ha dismesso il ruolo di “mite e ragionevole”) hanno fatto anche di più rivendicando come un trofeo l’azzoppamento delle Ong destinate a porti sempre più lontani dopo i soccorsi, “espulse a tempo” dalla navigazione e multate.

“Questa non è una tragedia, è la conseguenza di scelte precise da parte del governo italiano e dell’Europa. Se ci fossero i mezzi a soccorrere nessuno morirebbe in mare”, dice Veronica Alfonsi, presidente di Open Arms Italia.

E Medici Senza Frontiere, la cui nave di soccorso Geo Barents è stata punita con un fermo amministrativo di 20 giorni e non può levare le ancore dal porto di Ancona, aggiunge: “Nel Mediterraneo si continua a morire in modo incessante in un desolante vuoto di capacità di soccorso. È umanamente inaccettabile e incomprensibile assistere a tragedie evitabili. È un pugno sullo stomaco, non ci sono altre parole”.