Per il “green new deal” del Conte-2 ci vuole discontinuità
Sia i Cinquestelle che il Pd hanno ripetuto spesso in questi giorni, anche per bocca dei rispettivi leader, che tra le direttrici dell’azione del governo appena nato vi sarà il “green new deal”, cioè l’obiettivo di avviare in Italia una stagione di investimenti e riconversione economica orientati alla sostenibilità ambientale.
E’ una buona premessa, ma perché si concretizzi serve innanzitutto discontinuità.
Discontinuità, certamente, con il precedente governo, a dispetto del fatto che il presidente del consiglio e il ministro dell’ambiente sono gli stessi di prima. Il bilancio del Conte-1 in fatto di politiche ambientali è quanto mai deludente.
Innanzitutto energia e il cambiamento climatico
Il piano su energia e clima firmato dai ministri Di Maio e Costa è di basso profilo, molto al di sotto di ciò che serve per aggredire la crisi climatica. Serve molto più coraggio per rendere possibile la prevista chiusura di tutte le centrali a carbone entro il 2025, per ridurre significativamente i sussidi alle fonti fossili, per sostenere lo sviluppo della mobilità elettrica, per rimuovere le barriere che tuttora ostacolano l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili, per dare stabilità e maggiore forza agli incentivi per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio.
Nelle sedi europee e internazionali, a cominciare dalla prossima Conferenza sul Clima in programma a fine anno in Cile, l’Italia deve schierarsi – come fino a oggi non ha fatto – dalla parte dei Paesi che spingono per obiettivi vincolanti e ambiziosi di riduzione delle emissioni climalteranti, indispensabili se si vuole impedire che l’aumento delle temperature medie rispetto ai livelli preindustriali superi quel grado e mezzo considerato dalla comunità scientifica come soglia “di non ritorno”.
Discontinuità anche sui rifiuti
Discontinuità serve anche nelle politiche sui rifiuti. Va bene dire no a nuovi inceneritori, ma per avvicinare il traguardo dei “rifiuti zero” bisogna scommettere sul serio sull’economia circolare: varando finalmente i decreti di settore necessari perché i residui riciclabili dei processi produttivi possano essere trattati non più come rifiuti ma come materia prima seconda (mancano all’appello quasi tutti), e smettendola – questo è un tema che interpella soprattutto i Cinquestelle come movimento politico – di opporsi sul territorio alla realizzazione di ogni genere d’impianto per il riciclo dei rifiuti, da quelli per il compostaggio agli impianti per il recupero e l’utilizzo del biogas.
Anche il Pd deve dare prova, in tema di ambiente, di discontinuità. Gli ultimi governi a guida “dem” hanno fatto in questo campo persino peggio del Conte-1 – basta ricordare l’ossessione di Renzi per le trivellazioni petrolifere – e in generale il Partito democratico, sia su scala nazionale che locale, non ha quasi mai declinato l’ambiente come vera priorità di governo.
La green revolution
In questo senso è decisamente incoraggiante il radicale cambio di linguaggio portato sul punto dalla segreteria Zingaretti, nel cui “discorso pubblico” l’urgenza di una “green revolution” ha un posto centrale.
Diranno i prossimi mesi, diranno già i contenuti dell’imminente legge di bilancio, se le intenzioni “green” annunciate dal governo Cinquestelle-Pd diventeranno “fatti”. Personalmente ci spero, non solo come ambientalista ma perché sono convinto che la questione ambientale sia uno dei terreni decisivi su cui le culture politiche “progressiste” – se preferisce chi legge: di sinistra – possono ritrovare senso e consenso.
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