Così si può ridare all’Italia la sinistra e i suoi valori. Le speranze di un elettore in bianco
Iscritto al Pd, alle votazioni nei circoli ho dato la mia preferenza a Gianni Cuperlo. Lo conoscevo da tempo, nel condividevo la candidatura, l’ho seguito da modesto sostenitore nella sua campagna elettorale. Cuperlo ha raccolto molti voti, che non sono stati sufficienti. Così è rimasto escluso dalle primarie, il cui esito avevo previsto: considerate le percentuali del primo turno e immaginando una platea di elettori completamente nuova non mi pareva difficile prevedere l’esito. Così è stato: ha vinto Schlein. Anche se le è mancato il mio voto. Iperbole. Ho scelto comunque di partecipare infilando una scheda bianca nell’urna, dichiarando la mia perplessità nei confronti dell’una e dell’altra candidatura, criticando – ma questo dissenso l’avevo già manifestato: non che conti qualcosa, ovviamente – la scelta di imporre/imporsi quella interminabile “traversata del deserto” , definizione non mia, che sarebbe terminata in una sfida all’Ok Corral, in una sfida non sotto il sole delle pianure texane, ma sotto la pioggia e il freddo di questo fine febbraio.
Quanto conta il milione di votanti
Scheda bianca, ma ho votato perché volevo più di tutto che si tagliasse il traguardo di quel milione di votanti, come è successo, obiettivo massimo e prova di vita del mio partito. Mi ha divertito l’altra sera scrutare in tv il volto più scavato che mai, più pallido che mai, del direttore di uno di quei giornali della destra, che profetizzava l’immediato scontro tra le anime del Pd e la pronta successiva divisione e quindi la morte.
Sostando dopo il mio voto “in bianco” ho seguito al seggio le varie operazioni, la fatica e la resistenza tenace di tanti compagni (li chiamo ancora così), vecchi e giovani, e mi sono chiesto quale mai partito in Italia sarebbe riuscito a mettere in piedi una organizzazione simile, una prova di democrazia partecipata, una mobilitazione capillare. Avrei preferito un congresso a tesi e una “traversata” meno estenuante. Ma non si guarda indietro e domenica è stata una grande risultato, raggiunto per tante ragioni. Siamo in tempo di guerra e la guerra mobilita le coscienze pacifiche degli italiani, che sperano in un partito che reciti una parte sua nel pretendere la pace. C’è la destra al governo, una destra pronta esprimersi nei modi più beceri (vedi Donzelli, Delmastro, Valditara, eccetera eccetera) e molti italiani sentono la necessità di una risposta seria, rigorosa, in nome dell’antifascismo e della Costituzione e della cultura…
Nelle priorità della nuova segretaria
Calamità naturali incombono e gli italiani, quasi usciti dal covid, capiscono che occorrono scelte coraggiose e lungimiranti per fronteggiarle. Proprio ieri abbiamo vissuto in diretta una nuova tragedia del mare e gli italiani hanno dovuto vedere i sacchi bianchi sulla spiaggia di Crotone, ogni sacco un cadavere, e hanno compreso che pretendere di “non farli partire”, come suggeriscono il presidente del consiglio e il suo ministro, cancella ogni spazio alla solidarietà e alla pietà umana, è una velleità ed è una condanna per centinaia di esseri umani.
Elly Schlein ha elencato con chiarezza, anche subito dopo il voto, i punti possibili di un suo programma: un elenco appunto e una cosa è “elencare”, un’altra “fare” soprattutto quando non si ha la forza per “fare”. Dovrà anche scegliere: la scala delle priorità è fondamentale e speriamo che metta in testa quei diritti sociali, che non ha dimenticato di citare, dal lavoro, alla sanità, alla scuola. Dovrà cercare e costruire alleanze, perché le battaglie solitarie, date le circostanze e i pesi elettorali, valgono poco.
A lei si chiede l’impresa di ridare agli italiani la “sinistra”, che rischia di essere una generica speranza ma che potrebbe rappresentare anche un concretissimo orizzonte, a condizione che si studi la storia e che si sappia analizzare la società del presente e come si è giunti a questo presente, per comprendere le grandi trasformazioni che hanno cancellato le basi antiche della “sinistra” che abbiamo imparato a conoscere.
Dopo la “traversata del deserto”

Abbiamo vissuto due rivoluzioni: quella che si riassume nel segno dell’Ottantanove e del crollo del comunismo e quella tecnologica. Stiamo soffrendo la scomparsa del lavoro operaio, della lotta di classe, di una tradizione gloriosa. Restano i valori, l’eguaglianza in primo luogo, nel segno della giustizia ma anche della convenienza, dell’utilità collettiva, e diventa più urgente far sì che s’alzi una grande corrente di pensiero, non solo una forza politica organizzata, come insieme di idee per raggiungere l’obiettivo di una società più giusta, restando a fianco dei deboli e degli oppressi, valutando il peso dei cambiamenti sociali ed economici, ancorandosi a quei valori.
La “traversata nel deserto” ha rianimato la partecipazione e una rete di sostenitori, nei circoli o vicini ad essi. Una rete che non va resuscitata una volta ogni tanto perché c’è bisogno di organizzare qualcosa, ma perché da qui, da una “base”, che nascono le idee e i contenuti della politica, una intelligenza diffusa che sa leggere, metro per metro, questo mondo, molto meglio di una qualsiasi burocrazia di partito.
Una “base” , che può insegnare, che può proporre una sua visione critica dei problemi, grandi e piccoli, una “base” che si dovrebbe immaginare come una catena di “centri” ai quali andrebbero riconosciuti responsabilità e autonomia, per affermare l’identità di un partito che non può mai coincidere con quella di un governo o di una amministrazione.
Potessi, direi queste cose a Elly. Le consiglierei anche, dopo aver letto lestissimi quotidiani campioni di dietrologie, di scegliere per la sua “squadra” più avversari intelligenti e meno collaboratori fedeli.
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