Edimburgo, il più grande palcoscenico del mondo

Fino al 27 agosto Edimburgo è il più grande palcoscenico del mondo. Dopo 71 anni il Festival internazionale non ha perso la sua freschezza. Questa edizione propone 3200 eventi artistici. Quattro milioni e mezzo i biglietti venduti. Sempre ad agosto, si svolgono altri festival. C’è quello dell’arte visiva e, in contemporanea, altri tre: il Fringe, (che significa “marginale”), l’Edinburgh Military Tattoo, con concerti e coreografie militari, e infine il festival del libro.

Un’occasione per godersi la città. La passeggiata nell’antica zona medioevale e nella Edimburgo georgiana è costellata di riferimenti a scrittori che qui sono nati e vissuti: come Walter Scott, l’autore di Ivanhoe, o Arthur Conan Doyle, col suo Sherlock Holmes.

Il festival nasce per promuovere la pace. Il fondatore, nel 1945, è stato Rudolf Bing, austriaco. Bing, storico e musicista ebreo, era riuscito a salvarsi dai nazisti riparando in Gran Bretagna. Si era lasciato alle spalle tutto, compreso il ruolo di direttore generale dell’Opera di Berlino. A guerra finita, Bing sogna un festival internazionale nel Paese che l’ha accolto.

Henry Harvey Wood, del British Council, a un certo punto gli suggerisce di provare a Edimburgo. Sir John Falconer, il Lord prevosto della città, e l’influente Lady Eva Rosebery appoggiano subito al progetto. Il programma che indica l’improvvisato comitato è lapidario: “fornire un terreno per far fiorire nuovamente lo spirito umano”. Per il resto si mette tutto nelle mani di Bing, che spera in qualche modo di farcela. La sera del 24 agosto 1947 il festival si apre.

Un’istantanea, un bianco e nero un po’ sgranato, mostra il direttore d’orchestra Bruno Walter, ebreo, che conduce nuovamente la sua Vienna Philharmonic. Rudolf Bing è esausto, ma finalmente vede anche per sé un lungo futuro in Scozia. Non sarà così perché, nel 1950, viene chiamato a New York per fare il general manager del Metropolitan. Un incarico che ricopre per 22 anni.

Edimburgo non si giova solo di incontri, ma anche di accesi scontri artistici. Nell’anno di avvio, il 1947, otto compagnie, sei scozzesi e due inglesi, non invitate dal festival, decidono di arrangiarsi da sole e, fuori cartello, fanno comunque i loro spettacoli affittando alcune sale a Edimburgo. La cosa sconcertante è che agiscono in modo del tutto indipendente l’una dall’altra, senza alcuna struttura di supporto e che, di anno in anno, aumenta vertiginosamente il numero di artisti che si autoinvita per mettersi in luce. Già nel 1948 Robert Kemp, giornalista e sceneggiatore scozzese scrive che “Ai margini (fringe, ndr) del festival ufficiale sembra esserci sempre più iniziativa privata che altrove… Mi sa che molti di noi non resteranno a casa la sera”.

Quella parola, “fringe”, resta appiccicata ai nuovi artisti come una cifra di intraprendenza. Tra questi coraggiosi, nel 1966, Tom Stoppard, 29 anni. Stoppard mette in scena la sua tragicommedia “Rosencrantz e Guildenstern sono morti”. Ad assistere vi sono sette persone, sei critici e un solitario scommettitore. Dopo un anno l’opera è al National Theatre, dove i critici la definiscono “l’evento più importante nel teatro professionale britannico dal successo di Harold Pinter”. L’anno seguente, con la tragicommedia del giovane Stoppard, il National Theatre fa la sua prima trasferta, invitato a Broadway. L’aneddotica, peraltro fondata, su quanto aiuti presentarsi a Edimburgo è lunga, da Alan Bennet a Juliette Binoche. Oggi il Fringe Festival è il programma più affollato. Continua a regnarvi una deliziosa confusione, tra perfetti sconosciuti e artisti molto noti, e questo piace al pubblico. La sera del 27 agosto, in chiusura, omaggio a Leonard Bernstein nel centenario della nascita: davanti al castello le esecuzioni dell’orchestra di Edimburgo, e nel cielo i fuochi d’artificio.