Migranti regolari
E’ una questione di civiltà
e conviene all’Italia

Finalmente, nel corso di ore assai tribolate tra domenica e lunedì, sembrava che fosse stato raggiunto un accordo. E invece no. E’ tornato tutto in alto mare. Si era scritto di  un compromesso, che avrebbe ridato braccia all’agricoltura, restituito un po’ di dignità al lavoro dei braccianti, ripagato in modo decente gli immigrati (e non solo gli immigrati), molti di loro stagionali dai paesi dell’Est, che raccolgono pomodori, ortaggi, frutta di vario genere (poi verrà l’uva), cancellato quello slogan imbecille, cavallo di battaglia della Lega (non solo quella salviniana), che da trent’anni, con alti e bassi, risuona: “gli immigrati tolgono lavoro agli italiani”.

Ovviamente ciò che il governo sarebbe riuscito a partorire avrebbe riguardato anche colf e badanti, altre lavoratrici e lavoratori che – così vuole la propaganda populista – hanno a lungo sottratto buste paga ai nostri connazionali, privandoci pure della soddisfazione di pulire la casa o di curare nonne e nonni malfermi.

Permesso di soggiorno

Secondo quell’accordo della notte, un lavoratore, che avesse potuto dimostrare d’aver già faticato nei settori in questione (ma come, se era in nero, senza una carta che possa confermarlo?) avrebbe ottenuto un permesso di soggiorno di sei mesi, temporaneo dunque, via d’accesso però ad un contratto, mentre il datore di lavoro, che avesse scelto di mettersi in regola, avrebbe usufruito di una sorta di scudo penale e amministrativo per aver denunciato le irregolarità pregresse. Lo scudo penale sarebbe risultato evidentemente uno stimolo, un incoraggiamento, un incentivo a lasciare la pratica del “nero”.

E invece no, neppure questo. Sono tornati in gioco i pentastellati, che, passata la mattinata, si sarebbero accorti di non essere per niente dell’idea. L’hanno comunicato per bocca del sottosegretario all’interno Sibilia: “La partita non è chiusa”. Ah! L’ostilità dei Cinquestelle si potrebbe rappresentare così: rimaniamo fortemente contrari rispetto a qualunque intervento che si  figuri come una regolarizzazione indiscriminata, non riteniamo questa una soluzione che possa rispondere  alle reali esigenze delle nostre aziende del settore agroalimentare, confermiano il nostro principio di partenza: il permesso di soggiorno deve essere legato  ad un contratto di lavoro, non viceversa. Non basta: resta poi il nostro no fermo rispetto a qualunque ipotesi di sanatoria sui reati commessi, perchè non possiamo immaginare che possa farla franca chi si è macchiato di caporalato, di sfruttamento delle persone: equivarrebbe a prendersi gioco di quelle aziende oneste che hanno rispettato le leggi e i diritti dei lavoratori. Niente condoni, dunque. Tanto rigore, in linea di principio, andrebbe bene (andrebbe benissimo soprattutto per gli evasori fiscali), ma nel caso specifico una spintarella sulla via del pentimento sarebbe utile, anche perchè lo scambio varrebbe un’assunzione vera.

Eppure c’è bisogno di loro

Molti hanno commentato in passato che un provvedimento di regolarizzazione avrebbe una ragione d’essere nell’umanità, nella civiltà, nella solidarietà di un paese nei confronti di chi è fuggito e fugge dalle guerre, dalle privazioni, dalla fame, dall’ingiustizia. Credo che, di mezzo, nella scelta proposta dalla ministra Bellanova, condivisa da altre forze politiche, contestata dai Cinquestelle, brutalizzata da Salvini e dalla Meloni, vi sarebbe anche la convenienza: convenienza a sottrarre un mercato del lavoro di tanta importanza all’illegalità, al nero, allo sfruttamento bieco, alla violenza dei caporali (talvolta, nel caso proprio di colf e badanti, nelle sembianze di signore e signori perbene) al soldo di mafie e mafiette di varia natura. Significherebbe restituire un po’ di normalità e di contributi fiscali ad una società vittima di tante anormalità, che ne impediscono o ritardano la crescita. Significherebbe pure superare quella strada dell’emergenzialità che ha sempre o quasi caratterizzato il nostro rapporto con una realtà d’immigrazione viva ormai da ben più di trent’anni. Da trent’anni l’improvvisazione ha guidato ogni mossa, forse nella speranza che un fenomeno così universale si sarebbe spento da solo (ovviamente bisognerebbe chiamare in causa anche l’Europa). Questi anni hanno dimostrato che non potrà essere così, che abbiamo persino bisogno di loro, degli immigrati e questi mesi lo stanno dimostrando con l’evidenza plastica dei campi inariditi e dei pomodori che marciscono. Chi li raccoglie? Lo abbiamo sentito ripetere infinite volte in televisione a margine dei servizi sul covid da coltivatori, in stato di necessità, magari per questo toccati dal virus dell’onestà.

Stupisce – e sarà stupore dettato dall’ingenuità – che una questione di questo genere (“tema improcrastinabile” lo ha definito il Pd) occupi tanto tempo di un governo che si vorrebbe considerare progressista e che sicuramente è sostenuto da culture progressiste, stupisce appunto che non si sappia trovare il consenso per un permesso che durerebbe sei mesi e un sensato compromesso tra un condono totale (“tombale” lo si invocava per i soliti evasori) e una ragionevole ammenda, che non metta in fuga il colpevole.