E dal “cantiere delle riforme” della Meloni uscì fuori Frankenstein
Si fa presto a dire “elezione diretta”. E infatti il “cantiere per le riforme” aperto martedì 9 maggio da Giorgia Meloni con la consultazione delle minoranze nella biblioteca della presidenza della Camera è partito con un riferimento alla “elezione diretta” di un soggetto vago. Così vago che si fatica a capire se si tratti della più alta figura istituzionale del paese, ovvero il presidente della Repubblica, o della principale carica politica, il presidente del Consiglio.
“Elezione diretta di che cosa?”
È chiaro solo che la “elezione diretta” è necessaria perché, come ha detto Meloni, “noi abbiamo preso questo impegno con gli elettori”. In effetti, al punto 3 del programma elettorale per le elezioni del 25 settembre 2022 della coalizione di destra si legge testuale: “Elezione diretta del Presidente della Repubblica”. Il titolo è generico e la presidente del consiglio non lo ha meglio declinato. Il presidenzialismo, stando al racconto di Daniela Preziosi su Domani, ha dato luogo ad un esilarante teatrino della ministra delle Riforme Elisabetta Casellati con Riccardo Magi di +Europa che ha chiesto: “Elezione diretta di cosa?”. E la ministra: “Di cosa poi si vedrà”.
In realtà nella scorsa legislatura Meloni, quando era all’opposizione e i suoi alleati di oggi governavano con Draghi, aveva presentato una proposta di legge, bocciata alla Camera, su un presidente della Repubblica “ibrido”, eletto ogni cinque anni dai cittadini, che avrebbe concentrato su di sé enormi poteri, avrebbe presieduto il Consiglio dei ministri e avrebbe potuto revocare i ministri. Chissà se questo è ancora l’obiettivo da cui partire per ridisegnare tutta l’architettura costituzionale del paese, superando la Carta nata dal confronto tra le forze che avevano fatto la Resistenza e sconfitto il fascismo.
In ogni caso nel “cantiere per le riforme” scivolare dall’elezione diretta del presidente della Repubblica all’elezione diretta del “sindaco d’Italia” c’è voluto un attimo. L’ha proposto Renzi e Meloni non ha detto no. Ovviamente la proposta del leader di Italia Viva significa elezione diretta del presidente del Consiglio ed è apparso un assist perfetto per Meloni. Tra l’altro ha un’implicazione importante perché l’eventuale appoggio del Terzo Polo ad una riforma costituzionale potrebbe essere decisivo per raggiungere la maggioranza dei due terzi del parlamento che eviterebbe il referendum confermativo.
Ora, mentre i capi di Stato eletti dal popolo abbondano nel mondo, il premierato popolare è una novità assoluta, o quasi: l’ha provato unicamente Israele per tre volte consecutive per poi abbandonarlo perché il sistema non offriva né stabilità né efficienza. La Lega si è messa subito in allarme: per noi esiste solo l’elezione diretta del presidente della Repubblica, come da programma.
In realtà la Lega non è granché interessata alla forma di Stato, il suo obiettivo è portare a casa prima possibile l’autonomia differenziata del progetto Calderoli che premierebbe le regioni del nord e consentirebbe al Carroccio di ipotecare il suo consenso, ora traballante, nei territori più ricchi del paese. Meloni, di ispirazione centralista, ha sempre fatto buon viso a cattivo gioco e di rinvio in rinvio ha tenuto legato a sé i leghisti ma non si sa per quanto ancora la strategia funzionerà.
Sotto il presidenzialismo, niente
Un caos, insomma, che ha fatto apparire il “cantiere” più che altro una trovata per distogliere l’attenzione da ben più gravi problemi ed emergenze del paese. Lo ha fatto notare la segretaria del Pd Elly Schlein, che di fronte alla girandola delle ipotesi non s’è risparmiata una battuta: “Perché no a una monarchia illuminata?”. Per Schlein non dev’essere stato semplice accettare l’invito corredato da una liturgia pomposa somigliante alle consultazioni del Quirinale e che odorava di trappola: rendere plastiche le divisioni nella minoranza, che infatti si è presentata all’incontro in ordine sparso. Tanto sparso che, oltre al già citato Renzi col suo “sindaco d’Italia”, il capo del M5S Giuseppe Conte, pur contrario a qualunque tipo di elezione diretta, ha offerto una sorprendente “commissione per le riforme” dove ricondurre tutta la discussione.
Alla fine del primo giro quello messo in piedi dalla Meloni più che un “cantiere” è apparso un Frankenstein politico. Il paese non ne ha bisogno, Meloni sì perché è in evidente affanno sul piano internazionale, a corto di proposte sul piano interno e teme che presto terminerà la sua “luna di miele” col paese.
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