Dove sono finiti
i lavoratori
nel Pd targato Letta?

In queste ultime settimane son accaduti a sinistra e nel campo progressista alcuni fatti importanti da non sottovalutare. Il Pd, dopo lo show down di Zingaretti, ha eletto segretario Enrico Letta che ha rafforzato la chiusura al renzismo ribadendo la volontà di costruire, in vista della sfida elettorale sia nelle prossime amministrative nelle città che nelle prossime elezioni politiche nazionali, un’alleanza progressista basata sul nucleo forte della vecchia maggioranza contiana: Leu, Pd, M5s e altri “moderati” da acquisire dentro un rinnovato centrosinistra di impronta ulivista. Non sempre le formulazioni di progressismo, ulivismo, centrosinistra e sinistra sono chiare, anzi sono piuttosto confuse, ma tant’è.

Cinque stelle in formato Conte

Il M5s ha affidato a Conte la missione di rifondarsi nell’ambito del campo progressista, superando il suo vecchio trasversalismo (“né di destra né di sinistra) e le primigenie impostazioni “roussoiane” (la democrazia del click, il superamento dei corpi intermedi e del parlamento vagheggiato da Casaleggio senior e jr, l’uno vale uno a prescindere dalle capacità e competenze, un certo populismo antipolitico ecc.). E’ un lavoro in fieri ma che è iniziato con la delineazione dei princìpi identitari del nuovo Movimento da parte di Conte: ecologia, giustizia sociale, partecipazione democratica più strutturata sul territorio senza rinnegare lo strumento della rete, onestà nelle rappresentanze politiche e istituzionali e, non ultimo, collocazione nel fronte progressista. Alle spalle, la scelta di stare nel governo Draghi che aveva già portato alla separazione con diversi parlamentari di tutt’altro avviso. Non irrecuperabili, almeno alcuni, nell’evoluzione e “rigenerazione” dei grillo-contiani. Da osservare che Conte ha dato alla rifondazione del Movimento un segno di rinnovamento nella continuità dell’ispirazione di fondo. Un’operazione politica che non rinnega le battaglie giuste fatte ma che vuole dismettere errori e ingenuità.

A sinistra la formazione del governo Draghi con l’ingresso della Lega (Salvini) e di FI (Berlusconi) ha determinato una divisione fra Art. 1- Mdp di Speranza- Bersani e SI di Fratoianni. Quest’ultimo, però, ha accolto bene la nomina di Letta e si è detto subito disponibile a partecipare, al di là del giudizio sul governo in carica, a un’alleanza anti-destra sovranista e xenofoba. Naturalmente non a prescindere dai suoi contenuti. Art 1 sta fronteggiando nel governo l’attacco di Salvini su diversi fronti, in particolare al ministro della salute Speranza considerato la bestia nera dal leghista, non avendo il coraggio di prendersela con Draghi e, soprattutto, con i suoi ministri Garavaglia e Giorgetti che hanno approvato la linea del rigore sulla pandemia di Draghi-Speranza.
Complessivamente Renzi non è stato contento di questi esiti. Lui aveva puntato a far saltare tutto fra e dentro il Pd e il M5s.

Da parte sua Rifondazione comunista sta tentando di riunire tutti quelli che vogliono lavorare alla “alternativa” di contenuti sociali e politici al governo Draghi, considerato il governo del capitale e dei padroni, pericoloso per la democrazia e ultimo anello della sua involuzione presidenzialista a vocazione autoritaria. Non è chiaro se quest’area sarà disponibile a partecipare a un eventuale Fronte anti-destra se e quando si manifesterà sul piano elettorale. C’è chi propugna di stare fuori dalla contesa elettorale per costruire meglio l’alternativa immaginata in una specie di rinnovato astensionismo neobordighiano.

E i lavoratori?

Nei principali soggetti dell’alleanza progressista Pd e M5s – che vorrebbero riscostruirsi e rinnovarsi per meglio assolvere al compito – manca la questione essenziale: i lavoratori. Si sente e si vede che non sono la questione principale, quella il cui abbandono ha segnato, per l’appunto, il declino della sinistra fino alla nascita del Pd su basi sostanzialmente liberal democratiche a fronte dello sfondamento nelle fasce popolari e operaie della destra, prima berlusconiana e poi salviniana e meloniana. Questo problema non può accollarsi al M5s contiano che già sta facendo per conto suo dei passi avanti notevoli rispetto a prima ma che non ha mai avuto nei lavoratori il suo Dna. E’ tutto del Pd e si confonde con una rifondazione unitaria di tutta la sinistra politica che vada oltre il Pd medesimo per coinvolgere l’associazionismo progressista presente nella società civile.

Nessuno ignora le difficoltà che Letta incontra nel suo partito incistato dalle correnti e dai lasciti pesanti del renzismo e, perciò, la necessità di certi compromessi anche un po’ contorti e pure strumentali (capigruppi donne Camera e Senato) per derenzizzarlo, ma di certe “rigenerazioni”, “rifondazioni”, cambiamenti “radicali” o se ne indicano subito i fondamentali soggetti sociali e identitari, oppure non stanno nella testa dei “rifondatori”. Pochi giorni fa è stato dato ai Circoli del Pd il vademecum prospettato da Letta. Ventuno punti che riassumono sinteticamente il suo discorso insediativo. In questi punti la questione del lavoro e dei lavoratori non c’è. A meno che non si pensi di averla affrontata con la proposta di distribuire un po’ di azioni dell’impresa “ai dipendenti gratuitamente e a condizioni di favore”.

Il partito della ztl

La questione ha ben altro spessore sociale, politico e culturale, come si evince anche dalla Costituzione. Si tratta di 17 – 17,5 milioni di lavoratori dipendenti che dovrebbero essere considerati il motore principale della rigenerazione della democrazia e dei partiti; il soggetto principale della nuova politica economica, ecologica e sociale richiesta dal Recovery plan. Un treno lunghissimo che va dal lavoratore che si misura con l’intelligenza artificiale a quello che controlla il robot, al rider e al driver della nuova economy, al precario e al raccoglitore stagionale. Una classe sociale a cui ridare coscienza di sé, non più concentrata in grandi fabbriche ma dispersa in una miriade di unità produttive, frammentata in circa 47 rapporti di lavoro, fatta di milioni di uomini e donne risorsa fondamentale non solo sociale e politica ma morale per il paese e fondamento primario per la sinistra. Già, per un partito della e di sinistra, non di uno genericamente “progressista”, come il Pd, che se rimane nelle sue vecchie impostazioni – quelle precedenti a Renzi, anche se aggiornate al tempo presente e ai suoi mutamenti – rimarrà sempre nelle ztl cittadine non capendo un’acca delle periferie urbane e sociali e dell’umanità che vi si affanna.