Dopo la batosta, avvinti al vampiro. I 5 stelle scendono a terzo partito
Elettoralmente picchiati senza pietà dal loro compagno di banco, molti cittadini si son chiesti: e adesso che faranno? Lasceranno quel governo che li ha trasformati nel pascolo gratuito del grande cinghialone leghista nonché nell’anima pavida di una destra estrema ma altrettanto estrema nella duttilità? Invece, ecco Di Maio, provato ma composto, far sapere con enorme solerzia il secondo punto notevole, a suo giudizio, della giornata (il primo è che, ammette, hanno perso male e per davvero) e cioè che il governo non ne risentirà, anzi, subito al lavoro per produrre mirabilie, nuove, non quelle che abbiamo visto fin qui. Sempre assieme a quella “maledizione” d’uomo che ha loro succhiato il sangue.
L’elasticità endemica del m5s era andata in crisi la sera prima, di fronte alla tempesta perfetta che si stava abbattendo sulle loro vecchie fortune elettorali: nessuna dichiarazione in tempo reale davanti ai microfoni, solo qualche parola borbottata, dalle terze file, tra un colletto alzato e un cappello ben ficcato. In fuga dalle luci della ribalta loro, che per anni hanno immagazzinato sarcasmo davanti alla ritrosia on the road di pezzi di “casta” in fuga dai microfoni. Pare proprio che la storia li abbia presi per il cravattino, ed ora, pur consci che il voto per le europee può non riflettere con precisione le loro condizioni sul territorio nazionale, sanno di essere in una condizione del tutto nuova, ma così nuova da far loro dubitare della loro identità.
Nati per governare da soli, nati per vincere, nati per dare lezione ai cadaveri, ecco che si trovano terzo partito di un paese in cui il primo è il noto vampiro, Salvini, il secondo è quello dei famosi cadaveri putrefatti che evidentemente non ne vogliono sapere di comportarsi da cadaveri, il Pd. E poi ci sarebbero gli stellati, al diciassette, oltre cinque punti sotto l’armata degli zombi democratici. E’ dura: non c’è Renzi con loro (saprebbero come spiegarsi la disfatta), ma Di Maio e questo fa lor perder la bussola: come è stato possibile, pur avendo quel genio luminoso di Di Maio dalla loro parte, che il Movimento di Casaleggio si trovi ora con le stelle fratturate come biscotti? Sanno fare il partito arrembante, quello che lavora con gli apriscatole, che demolisce il male, il Parlamento, la democrazia rappresentativa… quelli che umiliano la casta dei giornalisti dall’alto dei loro zainetti… sanno fare i primi della classe, sono stati sintetizzati per questo, non sono nati per fare i terzi, i terzi devono per forza accettare il gioco dei più grandi… devono saper mediare ma mediare è esattamente ciò che avevano escluso da ogni loro percorso, a parole. E pazienza, non sarà la prima volta che son costretti a contraddirsi.
Poi, orrore nell’orrore, non è che son terzi dopo esser stati quarti o quinti, ma dopo aver tenuto la maglia gialla per un certo tempo. E fa un altro effetto, molto diverso. Per sapere quale, bisognava seguire appunto Di Maio, alla conferenza stampa di ieri mattina, atteggiato con modestia sbrigativa e qualche sbuffo di franchezza ragazzale: non aveva nulla che ricordasse la sua abituale strafottenza. Ha raccontato di aver sentito tutti quelli che contano nel Movimento, da Grillo a Casaleggio – uno vale non più uno, ma quel che vale – e ha giurato di non aver sentito nessuno chiedere le sue dimissioni. Ma non è lui il capo dei cinque stelle? Non è lui il ministro più importante? E se glielo diceva Casaleggio, un imprenditore che non ha nulla a che vedere con il Parlamento, che era il caso di dare le dimissioni? Spaesato, l’ex uomo del destino si rimette ora a quel che origlia sul suo conto nel salotto da cui evidentemente dipende. Di sicuro, non gli è sfuggita la battuta di Grillo che aveva aperto la giornata di lutto consigliando, in un tweet, “Radio Maria e canti gregoriani”, una chemioterapia pesante ed efficace.
Di qui e di là, nel panorama cinque stelle, ora salgono timide obiezioni all’operato del povero Di Maio. Emilio Carelli, giornalista e parlamentare, dice secco: abbiamo sbagliato su temi, toni e persone. Angelo Tofalo, parlamentare anche lui, avvisa che “o si mette il turbo, oppure si butta tutto”. Così, per evitare riunioni convulse e quaderni che volano, i vertici del partito, riuniti ieri per ore, hanno pensato bene di tener fuori dalla porta i gruppi di Camera e Senato, tanto contano sul ricatto naturale che la sconfitta ha concepito: quei parlamentari non possono che lottare per la loro permanenza in Parlamento, il futuro non è garantito, così, magari è meglio non pestare su Di Maio, sennò si rischia di andare al voto in anticipo e la festa finisce, per molti per sempre.
Peccato che la riunione di ieri non sia stata trasmessa in streaming e nemmeno in “apriscatole”. Intanto c’è anche chi difende il ministro, come la sindaca di Torino: lei ha voluto far sapere a Di Maio che è dalla sua parte pure in un momento difficile. Forse sa che non gli taglieranno la testa e resterà dov’è, magari commissariato o con poteri ridotti, di sicuro guardato a vista, come un “uno” qualunque di cui ci si fida poco. Ma devono reinventarsi quasi tutto, sapendo che saranno costretti, se non vogliono veder finire la legislatura prima del tempo e tutti a casa, a servire in tavola quel Salvini che saluta il suo popolo agitando un incolpevole rosario. L’uomo che ha prosciugato il loro bacino elettorale e che nessun democratico, in Europa non solo in Italia, vorrebbe come ospite a cena. Ci pensan loro, i cinque stelle – lo hanno ribadito prima e dopo il voto – a difenderci da quel bruto, restando con lui al governo. Ci penserà Salvini a scaricarli il giorno in cui non gli serviranno più.
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