La sinistra non può illudersi di dividere i “gialloverdi”
L’errore analitico più grossolano, in cui può oggi incappare la sinistra, è quello di interpretare il governo gialloverde come un complesso chiaramente diversificato entro cui è quindi agevole distinguere un volto truce, incarnato dal lepenista Salvini, e una maschera più mite, e addirittura con talune venature sociali con cui è bene venire a patti, indossata da Di Maio. Sul piano pratico, questa surreale lettura, proposta in nome delle vere leggi della politica che impongono di insinuarsi abilmente tra le pieghe dell’avversario, conduce, per autocastrazione, a fondare la futura contesa politica sul bipolarismo tra i due populismi oggi al potere.
Dinanzi a un governo che senza alcun dubbio segna una svolta radicale nella storia repubblicana, va colto il senso dell’unità della compagine del “cambiamento”. L’ossatura unitaria (finzioni cognitive per inventare nemici di comodo e occultare le fonti reali del potere e del privilegio di classe) è il valore di fondo che predomina ampiamente su ogni altro momento accidentale che mostra cenni di differenza tra i gestori dell’esecutivo. L’agitarsi di multiformi abiti mentali nei due partner di governo non va enfatizzato in vista di un dialogo perché una eterogeneità di accenti si riscontra in ogni vicenda politica. Per questo, nel cogliere i tratti effettivi del potere, non va mai trascurato il dato della unità sostanziale quale connotato dell’esperienza in corso. Il presidente del consiglio “esecutore”, per quanto anonimo e ininfluente sia la sua figura, è un esponete del M5S e su questo non-partito ricadono pertanto le responsabilità principali dell’azione di governo.
Qualcuno, dopo aver postulato che il governo è un interessante condominio abitato da inquilini di opposta natura tra i quali scegliere, si spinge sino a ipotizzare per la sinistra un lavoro di sponda per sostenere le belle riforme sulla “dignità” volute dal M5S isolando così le pretese sensibilità sociali caldeggiate dall’area grillina dalla ventata di destra securitaria raccolta dalla Lega. Su queste basi si precipita però nell’assoluta irrilevanza. La pretesa di ricalcare la stessa condotta tenuta dal Pci verso correnti della maggioranza è gratuita, sganciata dai rapporti di forza e fuori da ogni riferimento contestuale.
Non è con la riscoperta degli eterni ritrovati del trasformismo, per articolare e smembrare, che si rimedia a un errore storico-politico capitale commesso da Renzi, che ha spinto il M5S a destra e ha così regalato una centralità sistemica a Salvini che sarà difficile arginare. Quella scelta originaria del Pd è nefasta e purtroppo va assunta come irreversibile nei suoi effetti. Occorre ragionare muovendo dal fatto nuovo che essa ha determinato. Con l’abbraccio di Lega e M5S, culminato nel contratto di governo, è sfumata definitivamente, insieme all’ipotesi di una curvatura in senso spagnolo del populismo italiano, anche la verginità politica di un movimento che proclamava di essere oltre destra e sinistra. Si può discutere sulle responsabilità enormi dei renziani, rimane però il dato obiettivo dell’alleanza del M5S con la destra radicale.
Le attenuanti generiche non eliminano il fatto che il M5S è oggi l’organica espressione di una coalizione di destra. Il connotato di destra dell’alleanza non muta certo il suo significato di fondo per via degli annunci contenuti nel confuso e incerto decreto sulla dignità che ripesca i voucher, e naturalmente non scomoda l’articolo 18. Anche nel sindacato coloro che cadono nella tentazione di accomodamento devono comprendere che le concessioni “sociali” ventilate non rientrano in una lettura critica del moderno ma obbediscono a suggestioni occasionali che si dipanano senza alcuna coerenza. La velleità di manovrare in aula per lasciare affiorare una pretesa contraddizione insanabile che attraversa la strana coalizione bicolore è quindi assurda. Si tratta di una vocazione alla definitiva subalternità. La sinistra deve rinunciare a porsi per l’immediato prospettive di governo da inseguire con pratiche parlamentari ammiccanti o grotteschi fronti repubblicani.
Il suo compito è piuttosto quello di ricostruire un pensiero critico, di ritrovare le radici sociali perdute, di riconoscere nei processi reali di contestazione della svolta a destra in atto nel potere e nelle culture di massa i suoi più credibili gruppi dirigenti. La sinistra deve rinascere nella lotta delle magliette rosse, dei centri sociali, dei movimenti civici, dei gruppi del volontariato contro la miseria politico-culturale della destra al potere che fabbrica immagini di emergenze e di guerra. Deve inoltre porsi problemi di lungo periodo, con l’atteggiamento curioso e intransigente di chi ha perso nello scontro di classe e deve ritrovare senso, fondamenti, “diversità”: il tatticismo la condannerebbe alla irrilevanza assoluta. Non esiste al potere una porzione di destra da combattere per la sua inclinazione alla banalità del male e una di sinistra da soccorrere. Il governo che ricorre a metafore belliche contro i profughi o brinda in piazza per l’uccisione della casta con i provvedimenti incostituzionali sui vitalizi è un organismo compatto, unitario e specializzato nella produzione illimitata di narrazioni deformanti e devianti. Chi pensa che la politica sia aiutare qualcuno oggi al potere sperando in un suo sganciamento dalle alleanze macabre con la destra non ha ancora compreso la radicalità della sconfitta.
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