Diritto di critica, scoop tv o lotta sindacale?
Può un lavoratore, nel 2018, criticare il funzionamento dell’azienda in cui è occupato senza incorrere a delle sanzioni? Sembra di no. Può costui non ricevere solidarietà da altri lavoratori perché è iscritto ad una sigla sindacale diversa dalla loro? Sembra di sì.
Tutto questo sta avvenendo al Policlinico Umberto I di Roma.
Nel marzo scorso durante la campagna elettorale per le regionali del Lazio, un gruppo di dipendenti del Policlinico furono contattati dalla candidata pentastellata Lombardi, la quale chiese loro se fossero disposti a rilasciare un’intervista sulla situazione del nosocomio romano. Alcuni accettarono e fuori dall’orario di lavoro descrissero la situazione precaria in cui versavano varie strutture del Policlinico e in particolar modo il pronto soccorso.
Su tre di loro, due dei quali iscritti alla USB, è stata aperta una procedura disciplinare dall’azienda ospedaliera che potrebbe portare al licenziamento. Li si accusa di aver rilasciato un’intervista dal contenuto “gravemente diffamatorio”. Ma cosa hanno detto questi lavoratori?
Semplicemente che il privato sta man mano fagocitando la parte pubblica dell’azienda in quanto tutti i servizi sono appaltati: la cooperativa, la mensa, la sterilizzazione, il servizio antincendio e così via. Nonostante la precarietà, gli operatori devono far fronte al gran numero di ricoverati al pronto soccorso. Non ultimo il problema dei precari del Policlinico: circa 600 infermieri delle cooperative lavorano con le stesse mansioni dei dipendenti dell’azienda, ma con uno stipendio del 40% inferiore. Questo non comporta un risparmio, ma a conti fatti, un aggravio di spesa superiore sul servizio sanitario nazionale, in quanto il costo dell’appalto è superiore a quello dell’assunzione diretta di questi lavoratori.
Tutti questi problemi erano e sono noti da tempo, denunciati varie volte da carta stampata e servizi televisivi di Rai e Mediaset. Chi abita a Roma sa perfettamente che arrivare al pronto soccorso del Policlinico significa entrare in un girone infernale, con attese lunghissime, decine di malati che giacciono su barelle per giorni prima di avere un posto letto.
In appoggio ai tre operatori si sono schierati i lavoratori anche di altri ospedali romani ma non c’è stata una presa di posizione da parte di Cgil-Cisl-Uil. Ci domandiamo: perché?
Nonostante vari tentativi non abbiamo ricevuto risposta.
Non entriamo nel merito dell’assegnazione degli appalti a cui l’azienda ha risposto con una lettera a Il Fatto Quotidiano.it, che ventilava presunte irregolarità, ricordando che la Procura della Repubblica “non ha ravvisato elementi di rilevanza penale, in quanto trattasi di ordinaria attività amministrativa espletata nel rispetto della normativa vigente”. Il punto è il diritto.
Oggi, nel mondo del lavoro dove nella stessa azienda ci sono persone contrattualizzate in modi diverso e quindi con una difficoltà oggettiva di promuovere vertenze, si deve lasciare agli scoop televisivi la denuncia delle cose che non vanno?
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