Lavoratori stranieri:
diario sconsolato
di una difficile emersione
Ci vorranno quasi cento decreti attuativi per calare nel mondo materiale dall’empireo dei buoni propositi il già ritardatario Decreto Rilancio, una fantasmagoria di impegni onerosi che in 266 articoli e 315 pagine promette di traghettarci oltre l’emergenza. E di renderci un Paese migliore. “Vaste programme”, avrebbe detto il generale De Gaulle.
Accendiamo un faretto sui 26 commi dell’articolo 103, intitolato “Emersione di rapporti di lavoro”, con ispirazione, parrebbe, buona e giusta. Si tratta di metter mano a tre macrosettori: agricoltura, allevamento, zootecnia, pesca, acquacoltura; assistenza alla persona (badanti); lavoro domestico. Luoghi talvolta oscuri, dove le garanzie di un lavoro correttamente retribuito spessissimo latitano e magari cova un clandestino quello sì pericoloso: il Covid19. A occhio dev’esser stato uno di quei punti dolenti che hanno costretto i ministeri coinvolti a maratone diurne e notturne, con annessi ritardi, quasi una settimana tra annuncio del Decreto e sua comparsa in Gazzetta Ufficiale, dopo bollinatura, firma di Mattarella ed emanazione. Perché il 103 parla di stranieri da regolarizzare, temporaneamente e poi si vede, se esce fuori un contratto vero e serio il permesso di soggiorno si può trasformare in permesso di soggiorno per lavoro subordinato e durare. Con cautela, con circospezione, con tanti paletti e tanta paura di urtare sensibilità e preconcetti anti-immigrati: la compagine di governo è quella che è, così come la sua caratura culturale, e una fetta dei 5 Stelle ha puntato lo zoccolo.
Paradiso irraggiungibile
Lasciamo pure da parte le procedure per l’emersione, che partono dall’istanza di regolarizzazione avanzata dallo straniero o dal datore di lavoro, proseguono con la gita dei suddetti allo sportello per l’immigrazione che verifica l’ammissibilità della istanza di emersione, il parere della Questura, il parere del competente Ispettorato territoriale del lavoro e infine conduce alla stipula del contratto di soggiorno corredato da comunicazione obbligatoria di assunzione e compilazione della richiesta di permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Il tutto dal 1 ° giugno al 15 luglio (si prevedono proroghe). Mettiamo tra parentesi anche il contributo forfettario di 500 euro per ogni lavoratore a carico del datore di lavoro più un ulteriore contributo per le somme dovute a titolo retributivo, contributivo e fiscale; per un proprietario di fondo agricolo che vuole regolarizzare dieci stranieri son 5.000 euro e rotti di benvenuto, e qui crescono i dubbi su un agevole passaggio dall’inferno del bracciantato clandestino al paradiso del lavoro dignitoso garantito, d’accordo che lo Stato spende per le procedure di emersione e, si spera, per i controlli relativi, però…
Ecco, a parte le procedure e il “cip” di 500 euro, colpisce l’idea di ammucchiare l’allevatore di trote e la badante sotto lo stesso ombrello legislativo. Chi assiste in casa persone anziane e viene da Ucraina o Romania non è stato fotosegnalato come i migranti “classici” e quindi, a differenza di questi ultimi dovrà fornire una dichiarazione – obbligatoria – di presenza in Italia prima dell’8 marzo (lockdown), ma perché stabilire che “i cittadini stranieri non devono aver lasciato il territorio nazionale” dopo quella data? Dopo l’8 marzo la maggior parte delle badanti senza permesso di lavoro è rimasta confinata in casa ma tante, tantissime sono tornate in patria. Si stima che in Italia vivano due milioni tra badanti baby sitter e colf e che solo ottocentomila siano in regola: perché escludere dall’emersione chi dopo l’8 marzo è uscito dall’Italia causa coronavirus? Non solo, l’articolo 103 tra le condizioni necessarie per l’emersione indica un “permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019”: a chi non aveva alcun permesso, basta la dichiarazione di presenza o tanti saluti e niente regolarizzazione?
Se sei straniero…
L’ammucchiata nasconde una pessima, diffidente semplificazione: non conta ciò che fai, che competenze e passato lavorativo hai. Sei straniero e quella è l’unica categoria che conta. La nazionalità fa premio su tutto, le qualità intrinseche di un determinato lavoro non valgono, una badante che ha abitato con un anziano seguendolo in ogni passo, costruendo un rapporto umano stretto, non ha titoli per essere trattata diversamente da un rispettabilissimo e indispensabile raccoglitore di pomodori. Lo straniero ieri non è stato al centro di un progetto pensato e gestito d’integrazione. Nell’articolo 103, lo straniero oggi, stanato per motivi di politica sanitaria, è pura forza lavoro indifferenziata a termine.
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