Diamo un nome ai migranti morti
per riscoprire anche la nostra identità

Non che in passato siano mai mancate le violenze. Ma per almeno tre millenni il Mediterraneo è stato un mare di civiltà. Sulle sue sponde sono nate la filosofia, la scienza, il diritto. L’arte forse più raffinata. Ora il Mediterraneo è considerato il mare delle stragi. Negli ultimi trent’anni sono morti in questo grande bacino almeno 30.000 persone: più di mille, in media, all’anno. Tutte morti evitabili, vittime di quelle che l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) definisce i «viaggi disperati». Persone che non esitano a sfidare il mare su incerte imbarcazioni per sfuggire ai loro aguzzi, alle guerre, alle persecuzioni, ai cambiamenti del clima, ai deserti che avanzano, alla povertà, alle disuguaglianze inaccettabili.

È vero, in termini assoluti le vittime dei «viaggi disperati» nel Mediterraneo stanno diminuendo. Tra il primo di gennaio e il 25 aprile i morti o i dispersi nel Mediterraneo sono stati rispettivamente: 1.982 nel 2015; 1.266 nel 2016; 1.114 nel 2017; 588 nel 2018; 409 nel 2019.

E tuttavia rispetto al numero dei partenti (o meglio, rispetto al numero più controllabile degli arrivati) la mortalità è in forte crescita: si calcola che ancora nel 2015 moriva in mare un migrante ogni 250 che arrivavano a destinazione; oggi il rapporto è di uno ogni 50 arrivati. Bisogna aggiungere all’incirca. Perché se abbiamo un’idea, certo imprecisa ma non del tutto, dei migranti arrivati sulla sponda nord, non abbiamo se non una vaga idea di coloro che partono dalla sponda sud.

Alle migliaia di migranti deceduti, Cristina Cattaneo – professore ordinario di Medicina Legale presso l’Università Statale di Milano e direttore del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense (LABANOF) – ha dedicato un libro denso di umana pietà pubblicato da Raffaello Cortina.

Il titolo? Naufraghi senza volto. Già perché della maggior parte di questi morti innocenti noi non sappiamo niente: né il nome, né la famiglia, né la provenienza, né, talvolta, il volto.

Ora in questo suo libro denso di pietas Cristina Cattaneo non si limita a raccontare dei suoi sforzi personali e di quello di altri colleghi di restituire un nome e un volto al maggior numero possibile di questo morti in viaggi disperati. Né si limita a testimoniare delle angherie che tutti – ma soprattutto donne e bambini – hanno subito prima e magari durante la tragica traversata: torture, stupri, umiliazioni di ogni genere. Sono scritte nei loro corpi queste storie di moderna barbarie. E sono scritte incancellabili. Che chiamano in causa chi le ha materialmente determinate, ma anche noi, che non abbiamo fatto abbastanza per impedirle.

Cristina Cattaneo, da grande donna di scienze, ci dice come le conoscenze scientifiche possano riuscire spesso nel ricostruire dal combinato disposto di impronte digitali, DNA, denti e notizie di natura sociale ed economica, l’identità di questi morti. Una lettura di estremo interesse che ci offre il volto di una scienza silenziosa che lavora a difesa dell’uomo e della sua dignità.

Già, delle dignità umana. Perché è questo il messaggio forte che lancia Cristina Cattaneo: queste persone morte e spesso dimenticate nel Mediterraneo hanno diritto ad avere un nome. I loro parenti hanno diritto ad avere qualcosa di tangibile su cui piangere.

Cristina Cattaneo ci parla del diritto alla dignità. Anche da morti. E di come questo diritto sia universale. E di come questo diritto costituisca, insieme ad altri, l’alimento di cui da alcuni secoli, in particolare dai tempi dell’Illuminismo, si nutre una civiltà in particolare: la civiltà europea.

Ma, rileva ancora Cristina Cattaneo, oggi questi naufraghi senza volto morti nel Mediterraneo sono oggetto (anche in Europa, proprio in Europa) di una esibita indifferenza e, talvolta, persino di un agghiacciante disprezzo. Oggi quei naufraghi sono morti e morti senza volto anche per colpa nostra.

Ecco, dunque, il grande appello di Cristina Cattaneo: facciamo ogni sforzo per dare un volto e restituire la dignità ai quei naufraghi. Ma ecco, dunque, anche la grande denuncia della scienziata nativa di casale Monferrato; dopo alcuni secoli di espansione dei diritti, l’Europa sta tornando indietro. Sta facendo quello che già Umberto Eco chiamava (e denunciava come) il “passo del gambero”. E muovendosi come quel piccolo crostaceo l’Europa perde la sua natura.

Diamo un nome ai quei naufraghi senza volto e, forse, riscopriremo la nostra identità.