Dialogo sinistra-Pd,
ma con chi parli?

Come volevasi dimostrare l’ultima carta del dialogo tra la sinistra e il Pd è stata davvero l’ultima. L’ennesimo strappo sul Rosatellum al Senato ha chiuso di fatto, a meno di improbabili sorprese, ogni spiraglio di confronto e reso ancora più accidentato qualsiasi tentativo di alleanza tra Mdp e democratici. Molti si erano chiesti se avesse fatto bene o avesse fatto male Roberto Speranza a tentare di riaprire il dialogo con un’intervista a Repubblica nella quale proponeva un incontro a Matteo Renzi fissando alcune questioni di contenuti – Jobs act, Buona scuola e legge elettorale – sulle quali discutere. L’iniziativa ovviamente ha creato qualche malumore tra chi ha lasciato questo Pd e non vuole ritrovarsi con questo Pd, ha lasciato Renzi e non vuole ritrovarsi con Renzi.


Noi siamo convinti che Speranza abbia fatto bene a tentare l’ultima carta. Ma era appunto, sin dall’inizio purtroppo, un’ultima carta. Già la reazione negativa di Renzi (sostanzialmente: non si tratta su nulla) aveva fatto capire quale sarebbe stato l’esito di quel tentativo. Certo, per fortuna sono emerse in questa occasione posizioni più articolate di altri dirigenti del Pd (da Orlando a Franceschini a Cuperlo) che stanno lì a dimostrare che qualcosa si muove anche dentro un Pd che sembra spesso chiuso in una corazza e nel quale il segretario cerca di comandare come non si comanda un partito. Però, nulla di più di questo. E la conclusione della giornata di ieri, con il voto di fiducia posto al Senato e i capigruppo di Mdp che salgono al Quirinale e dichiarano di essere fuori dalla maggioranza di governo, è la plastica rappresentazione di una porta chiusa, di un muro impenetrabile dietro il quale si è chiuso il Pd.

Il problema è che per dialogare devi poter parlare con qualcuno. Ma in questo caso, con chi parli? Parli con chi ritiene il Jobs act una magnifica legge che ha creato un milione di posti di lavoro senza rendersi conto della precarietà e della fragilità di questi nuovi lavori e dell’ingiustizia della libertà di licenziare? Parli con chi ritiene la Buona scuola una magnifica legge che ha ridato dignità alla nostra istruzione senza rendersi conto delle critiche e dei malumori di chi nella scuola ci lavora? Oppure parli con chi ritiene che il Rosatellum sia una magnifica legge elettorale senza rendersi conto che contiene troppe criticità (i nominati, un’unica scheda per i collegi e il proporzionale, per dirne due) e che mettere la fiducia – come si continua a fare – su una materia così sensibile è uno strappo serio?


Finché nel Pd non si aprirà un dibattito vero su questi tre anni, sugli errori commessi, sul modo con cui è stato guidato il partito, sull’isolamento in cui è stato condotto e sulla rottura con pezzi di popolo di centrosinistra, si rimarrà sempre al di qua di un confronto vero. E non si faranno molti passi in avanti, nonostante la buona volontà di alcuni fuori o dentro il Pd.
Se la sfida di Speranza servirà almeno a favorire una maggiore dialettica dentro il Pd è presto per dirlo, ma le incognite sono talmente tante che non lasciano presagire nulla di positivo. La sensazione infatti è che il Pd, nelle mani di Renzi, non voglia questo, ma giochi il tutto per tutto prima di fermarsi. C’è tra molti democratici un’inspiegabile ostinazione a proseguire su una strada senza uscita, una certa rassegnazione alla sconfitta che fanno davvero impressione. E che certamente non favoriscono alcun clima utile al dialogo.
E allora? Allora, va bene verificare gli spazi di confronto tra Mdp e Pd, insistere finché è possibile, e già oggi sinceramente sembra tutto impossibile. Ma non basta questo. Ha ragione Susanna Camusso che nell’intervista a strisciarossa dice che non c’è sinistra senza popolo, non c’è sinistra senza partecipazione, non c’è sinistra senza una comunità che riflette, discute e decide.

Questo deve essere l’assillo principale di chi vuole ricostruire la sinistra e il centrosinistra. Non vuol dire che non si stia facendo. Ma che si deve fare di più e meglio, con più determinazione. Anche per scrollarsi di dosso il sospetto di un eccesso di politicismo che spinge a occuparsi troppo delle trattative, delle mosse da compiere o della ricerca di un nuovo leader e poco, come avrebbe detto Pietro Ingrao, del “gorgo” in cui vivono le donne e gli uomini del nostro Paese.