Deserti, siccità
e esodi forzati

Dal 2016 al 2030 l’Onu avrebbe deciso di fare qualcosa di utile per una gestione sostenibile dei flussi migratori in corso; finora si è visto poco. Devono farlo strutture interne all’Onu, devono garantirlo tutti i 194 Stati, dovremmo contribuire tutti. Troviamo scritto chiaro e tondo nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile in uno dei target del punto 10 (ridurre le disuguaglianze fra e negli Stati): occorre facilitare migrazioni “ordinate, sicure, regolari e responsabili”. Eppure nei rapporti nazionali e internazionali sullo stato di attuazione la questione è elusa. Fortunatamente vi ha accennato il Papa e anche qualcun altro comincia a muoversi.

Intervenendo nella sede della Fao a Roma in occasione della Giornata mondiale dell’Alimentazione il 16 ottobre e usando i tre aggettivi del documento vincolante approvato dall’Assemblea Generale dell’Onu due anni fa, Papa Francesco ha lanciato un’idea importante: “È giunta l’ora di elaborare all’interno dell’Onu un Patto mondiale per la migrazione sicura, regolare e ordinata”. Qualche giorno prima una Convenzione Onu approvava finalmente una prima “decisione” sulle connessioni fra siccità e desertificazione da una parte, crisi alimentari e migrazioni forzate dall’altra. Il testo è generico, siamo ancora ai preliminari di azioni concrete, comunque è già un passo da seguire con attenzione negli sviluppi coerenti.

La Convenzione per la lotta alla siccità e alla desertificazione (UNCCD) è la terza e la più ratificata delle convenzioni di Rio 1992 (le altre due sono clima e biodiversità). Entrata in vigore nel 1996, proprio a Roma quell’anno ci fu la prima conferenza attuativa; dal 6 al 17 settembre 2017 si è svolta Cop13 (Ordos, Cina). Pur senza documenti preparatori, su proposta del Senegal e dopo un incontro gestito dalla Presidenza EU, si è arrivati a un testo che prende in considerazione la possibilità di sostenere progetti di degrado del suolo in Africa come miglioramento delle condizioni di vita e come incentivazione al non migrare (al non dover fuggire).

Nel 1994 fu organizzato un simposio ad Almeria in Spagna sul rapporto fra desertificazione e migrazioni, un nesso da allora sottoposto ad approfondimenti, verifiche, esemplificazioni (emersi anche nel secondo simposio, sempre promosso da UNCCD nel novembre 2006). All’attenzione dell’opinione pubblica si è ormai imposta la più complessiva questione del nesso fra migrazioni e cambiamenti climatici. E, certamente, la realtà e la minaccia di tante siccità e della crescente desertificazione del suolo risultano connessi al riscaldamento del pianeta, fra le cause e gli effetti conclamati del climate change.

Secondo il Segretariato UNCCD fino a 2,4 miliardi di persone in tutto il mondo potrebbero vivere in aree soggette a periodi di intensa siccità, il che potrebbe indurre allo spostamento almeno 700 milioni di persone da qui al 2030. In particolare, circa 60 milioni di persone potrebbero muoversi dalle aree desertificate dell’Africa subsahariana verso il Nordafrica e l’Europa. Entro il 2050 200 milioni di persone potrebbero diventare in modo permanente ecoprofughi. Altri studi e altri organismi sono giunti a conclusioni analoghe. In larga parte si tratta di effetti lenti e irreversibili di comportamenti umani avvenuti in tutt’altra parte del mondo. Gli scienziati dell’International Panel on Climate Change (IPCC) hanno steso cinque successivi rapporti (ratificati da tutti i governi del mondo) che indicano le aree vulnerabili del pianeta ove già si verificano migrazioni forzate (di specie animali e animali, prima e ancor più che di gruppi umani).

Prima o poi bisognerà esplicitare che per una più pacifica e sicura convivenza umana va rispettato il “diritto di restare” nell’ecosistema dove si è nati e cresciuti, contro tutte le migrazioni forzate. Aver toccato o essere prossimi ad alcuni “confini planetari” (non solo per il riscaldamento del pianeta) significa sapere già che quel diritto verrà negato a miliardi di persone, a causa di inquinamenti, degradi lenti e disastri, non provocati dalle comunità in parte costrette alla fuga. Non a caso, anche nell’accordo approvato alla Cop 21 del clima (Parigi, dicembre 2015) risalta il riferimento ai delocalizzati, ancora breve ma finalmente operativo. Si tratta di creare una sinergia fra tutte le convenzioni e strutture dell’Onu e in ogni Stato che dovrebbe cooperare allo sviluppo, dotandoci di un grande efficace accordo globale che rispetti diritti e libertà delle migrazioni, sia nei paesi d’emigrazione che nei paesi d’immigrazione.