Spiegel, 75 anni di grande giornalismo d’inchiesta e qualche scivolone
Nell’autunno del 1946 la Germania è ancora un immenso campo di macerie. La guerra è finita da pochi mesi e il paese è diviso in quattro zone, assegnate ai vincitori: a nord-nord-ovest i britannici, a sudovest i francesi, a sud gli americani e a est i sovietici. A Hannover, l’amministrazione militare britannica decide di pubblicare This Week, una rivista dedicata alla cronaca degli avvenimenti della settimana e dei primi embrioni della rinascita di un sistema politico nel paese. Fra i redattori tedeschi c’è un certo Rudolf Augstein. È molto giovane – è nato nel 1923 – durante la guerra è stato operatore radio per la Wehrmacht e ha il pallino del giornalismo. Sarà proprio lui ad essere designato dagli inglesi alla direzione di una nuova rivista, in tedesco questa, che prenderà il posto di This Week.

La rivista nasce il 4 gennaio 1947 ad Hannover
Sabato 4 gennaio 1947, con una piccola cerimonia, a Hannover viene battezzato Der Spiegel, lo specchio in italiano. Il titolo vuole significare che la nuova pubblicazione si pone come obiettivo quello di riflettere la società, i progressi e i problemi della rinascita democratica della Germania. E che non avrà scrupoli a denunciare le cose che non vanno. I giovani redattori proclamano che il giornale sarà uno “Sturmgeschütz der Demokratie”: definizione abbastanza provocatoria in quanto lo Sturmgeschütz era un carro armato d’assalto usato dalla Wehrmacht durante la guerra appena finita.
Quando assume la guida della rivista Augstein ha 24 anni e sarà direttore dello Spiegel – e dal 1950, con fasi alterne e diversi assetti societari suo proprietario – fino alla morte il 7 novembre del 2002, anche se dal 1994 affiderà la direzione operativa a Stefan Aust, giornalista con un curriculum prestigioso che avrà qualche difficoltà a farsi accettare dalla redazione.
All’inizio la diffusione del nuovo magazine è confinata alla zona di occupazione britannica ed è abbastanza limitata, ma il successo non tarda ad arrivare. Der Spiegel ha un taglio moderno, uno stile sobrio e una grande capacità di fare campagna sui problemi e le contraddizioni della società e della vita politica della Germania occidentale che sta cercando la sua strada tra le democrazie dell’Occidente. Il modello è quello del giornalismo d’inchiesta anglosassone, che non ha soggezione nei confronti di alcun potere, si tratti dei governi, delle istituzioni internazionali, dall’ONU al Vaticano, dei grandi protagonisti dell’economia e della cultura. Per i critici si tratta di un giornalismo scandalistico, alla continua e un po’ ossessiva ricerca dei corrotti e degli incapaci, ma tutti debbono riconoscere l’estremo scrupolo con cui lavorano i redattori dello Spiegel. In tanti anni di denunce di eventi scandalosi, inchieste su argomenti scottanti, denunce e procedimenti giudiziari, una sola volta un suo redattore è stato pizzicato a diffondere fake news. Si trattava di Claas Relotius, che nel 2014 era stato addirittura premiato dalla CNN come “giornalista dell’anno”. Ma a scoprire che 14 servizi erano stati realizzati sulla base di fatti inventati o interviste a personaggi inesistenti fu solo un’inchiesta interna della stessa redazione. In Germania, e poi anche in Europa, molti degli scandali politici, economici o finanziari dagli anni cinquanta fino ai giorni nostri, sono nati da una denuncia dello Spiegel. Fin dai primi numeri la rivista si caratterizza per le copertine, che si riferiscono all’articolo principale del numero in edicola, talvolta aggressive, qualche volta spregiudicate (e, come vedremo, noi italiani ne abbiamo fatto in qualche occasione spiacevole esperienza).
Partenza a razzo e in un anno vendite quintuplicate
A un anno dalla sua nascita Der Spiegel ha già quintuplicato le sue vendite e ormai è diffuso in tutta la Germania. Nel 1961, alla vigilia della vicenda giudiziaria che segnerà definitivamente il suo primato nella stampa di inchiesta della Germania e di tutta l’Europa, avrà raggiunto il mezzo milione di copie. Negli anni 70 sfiorerà il milione e dopo l’unificazione e l’apertura del relativamente piccolo ma vivacissimo mercato dell’est sfonderà il tetto del milione di copie.
Le difficoltà a gestire questo grande successo editoriale provocarono una serie di complicazioni societarie, ma Augstein rimase sempre titolare della proprietà e alla fine riuscì a far valere la sua autorità in un’operazione molto innovativa, una ristrutturazione in base alla quale i lavoratori (giornalisti e no) dell’azienda potevano diventare azionisti, avere voce negli organismi direttivi e partecipare agli utili.
Si trattava di una decisione che corrispondeva all’orientamento politico-sociale del fondatore del giornale. Rudolf Augstein è stato un liberale di sinistra, quello che in America definirebbero un liberal. Nel 1955 è entrato nella FDP, il partito liberal-democratico da sempre diviso tra l’appoggio al capitalismo della grande industria e la lotta contro le degenerazioni del conflitto di classe in ingiustizie sociali e derive autoritarie. Proprio il suo spirito libertario e insofferente delle prevaricazioni e delle ipocrisie dei potenti porta lui e la sua rivista all’inizio degli anni ’60 in conflitto con un personaggio politico in forte ascesa: il capo della CSU bavarese Franz Josef Strauss, spregiudicato leader dell’ala più conservatrice dei democristiani tedeschi e il più accreditato aspirante alla successione a Konrad Adenauer, ormai al crepuscolo della sua lunghissima carriera politica.
L’inimicizia dello Spiegel nei confronti di Strauss (assolutamente contraccambiata) precipita nell’autunno del 1962 in quello che ancor oggi viene considerato lo scandalo più eclatante della storia politica della Germania. Si tratta di una vicenda molto complicata che riassumeremo nei suoi termini essenziali.
La copertina del numero 41 del 1962 dello Spiegel che va in edicola il 9 ottobre mostra il volto sorridente di Friedrich Foertsch, Generalinspekteur della Bundeswehr, le forze armate della Repubblica federale, sotto il titolo “Bedingt Abwehrbereit” che si può tradurre in modo approssimativo con “pronto alla difesa in maniera condizionata”, una espressione un po’ contorta per definire il servizio cui la copertina stessa è dedicata. Si tratta di un lungo reportage in cui l’esperto di questioni militari del settimanale, Konrad Ahlers riferisce su una serie di rapporti interni alla Bundeswehr in merito all’esercitazione militare della NATO Fallex 62 che si è svolta pochi giorni prima in Germania. I risultati di questa esercitazione, scrive Ahlers, sono “devastanti”. Né le truppe tedesche né quelle della NATO sarebbero in grado di respingere un’eventuale invasione sovietica e la responsabilità di questa grave carenza è da attribuire, secondo gli esperti che hanno redatto i rapporti, alla politica imposta dal ministro della Difesa, Franz Josef Strauss, il quale ha colpevolmente indebolito l’apparato militare convenzionale per rendere indispensabile, in caso di guerra, il ricorso alle armi nucleari di cui anche la Germania, secondo Strauss, dovrebbe munirsi superando un tabù del riarmo tedesco che è molto diffuso nell’opinione pubblica internazionale ma anche nella NATO e tra gli stessi alti gradi delle forze armate nella Repubblica federale. Il leader bavarese sta facendo lobby per convincere gli americani a consentire che la Repubblica di Bonn entri nel ristretto clan delle potenze nucleari e, consapevolmente, mantiene basso il livello tecnico e strategico delle armi di difesa convenzionali. Ma con questo atteggiamento provoca un grande rischio per il suo paese, giacché se il Patto di Varsavia decidesse di attaccare con armi convenzionali non è affatto detto che gli Usa, o gli inglesi, risponderebbero con un colpo nucleare per impedire l’invasione della Germania. È un’accusa gravissima e infamante per Strauss ma, soprattutto, è vera, come qualche anno dopo ammetterà lo stesso Strauss, e scatta subito la controffensiva.
Il giorno successivo all’uscita del numero 41 un esponente della CSU denuncia lo Spiegel per alto tradimento al procuratore federale Siegfried Buback. Questi accerta che il reportage è stato realizzato utilizzando documenti coperti dal segreto militare e decide di avviare un procedimento. Ahlers, che si trova in vacanza in Spagna con la moglie, viene arrestato dalla polizia franchista e, su sua stessa richiesta, estradato subito in Germania. Il 26 ottobre un plotone di poliziotti, con un’azione spettacolare, fa irruzione nella sede dello Spiegel ad Amburgo, sequestra documenti e macchine da scrivere e sigilla i locali della redazione. Passano altri due giorni e il 28 ottobre anche Augstein viene incarcerato con l’accusa di tradimento della patria. Resterà in prigione, in attesa di giudizio, per 105 giorni, fino al 7 febbraio del ’63.
Due arresti e un intollerabile attacco alla libertà di stampa
Lo scandalo è enorme, e non solo in Germania. L’arresto del direttore e di Ahlers e la chiusura d’autorità della sede della rivista vengono giudicati come un intollerabile attacco alla libertà di stampa. Salgono le proteste e in Germania diverse redazioni, tra cui alcune delle edizioni Springer orientate piuttosto a destra, nonché quella della più diretta concorrente dello Spiegel, lo Stern, offrono spazi e strumenti perché il settimanale possa continuare ad uscire. Per Strauss, che tutti riconoscono essere stato il deus ex machina dell’operazione, è un colpo di immagine disastroso. Adenauer è costretto a estrometterlo dal governo e il leader bavarese, nonostante la grande popolarità nella sua regione, continuerà a lungo a pagare il prezzo della battaglia persa contro gli arcinemici di Amburgo. Il ricordo di quella batosta gli costerà, nel 1980, la cocente sconfitta nella corsa alla cancelleria federale contro Helmut Schmidt.
Lo Spiegel-Affäre si chiuderà dal punto di vista giudiziario con la sentenza della Corte Federale del 13 maggio del 1965 che decreterà il non luogo a procedere contro Augstein e Ahlers perché hanno fatto soltanto il loro lavoro di giornalisti, mentre l’ispiratore del procedimento contro di loro, Strauss, ha commesso un abuso di potere. L’anno dopo un’altra sentenza della Corte fisserà definitivamente i princìpi di indipendenza dei media e la libertà di indagine dei giornalisti.
La clamorosa vittoria giudiziaria nello Spiegel-Affäre ha consolidato ormai il prestigio e soprattutto l’influenza politica del settimanale di Augstein. Der Spiegel è diventato un elemento fisso e centrale del sistema dell’informazione in Germania. Al parlamento, nelle sedi dei partiti, nei centri della finanza e dell’economia, nelle cancellerie dei paesi che hanno rapporti con la Repubblica federale, a Washington, a Parigi, a Londra, a Roma, a Tokio, ma anche a Mosca e a Pechino, nelle redazioni degli altri giornali e delle tv l’arrivo del settimanale, all’inizio della settimana, è atteso con grande interesse, curiosità e, talvolta, ansia. I pochi che riescono ad avere qualche anticipazione, accuratamente centellinata dalla sede di Amburgo, hanno un grande vantaggio sui colleghi e i concorrenti.
Come gestiscono questo potere mediatico Augstein e la sua redazione? Il settimanale di Amburgo ha tanto prestigio ma anche molti nemici. Contro i metodi e lo stile del settimanale e addirittura anche sul linguaggio in cui è scritto non sono mancate le critiche. Nel 1957 il poeta Hans Magnus Enzensberger pubblica un saggio molto critico sugli “aspetti manipolatori” del linguaggio in cui è scritto il settimanale. Secondo il suo parere sarebbe del tutto arbitraria la “pretesa obiettività” delle tesi sostenute. Enzesberger non è l’unico che ha espresso critiche alla “Sprache des Spiegels”, la lingua in cui è scritto il settimanale, giudicata troppo sbrigativa e poco attenta alle buone regole della retorica. Va detto, però, che proprio l’uso di un tedesco “facile” e facilmente traducibile ha favorito la diffusione dello Spiegel anche fuori dell’area germanofona, almeno finché non è arrivata l’edizione on line in lingua inglese.
Molti meriti ma anche molte critiche giustificate
Ben altro peso hanno avuto le critiche ai contenuti e anche a certe scelte di politica editoriale. Fu molto criticata per esempio – e a buona ragione – la collaborazione che Augstein in qualche caso chiese a personaggi compromessi con il regime nazista, una scelta davvero poco coerente non solo con la linea liberaldemocratica del giornale, ma anche con le campagne condotte, soprattutto negli anni ’50 e ’60, contro la presenza nei partiti ma anche negli apparati dello stato di personaggi compromessi con il nazismo.
Altre polemiche, anche pesanti, non mancarono dopo la pubblicazione di servizi o articoli su temi scottanti o personaggi controversi. Se si digita su un motore di ricerca in internet l’accoppiata di parole Der Spiegel – Polemik compaiono pagine e pagine di episodi. Per citare un caso che fece molto discutere, ambienti della comunità ebraica ritennero di dover protestare quando nel 2006 il settimanale pubblicò come storia di copertina “Il testamento del faraone”, che riferiva di alcuni recenti studi storici secondo i quali l’idea del monoteismo non era nata storicamente tra gli ebrei ma era già presente nel culto di Aton praticato dal faraone Akhenaton. D’altra parte si ebbero in molte occasioni proteste dall’altra parte e si arrivò nel 2008 alla proibizione della vendita dello Spiegel in Egitto e in alcuni altri paesi arabi per un articolo giudicato offensivo nei confronti dell’Islam e del profeta Maometto.
Un capitolo a parte, abbastanza delicato, va riservato all’atteggiamento dello Spiegel nei confronti dell’Italia. Il nostro paese è stato spesso al centro delle attenzioni della redazione di Amburgo e – va detto – non sempre in termini positivi, quasi a confermare il luogo comune secondo il quale mentre gli italiani rispettano i tedeschi ma non li amano, i tedeschi amano gli italiani ma non li rispettano. Gli episodi di ostilità più pesanti che fecero a loro tempo molto rumore, fino ad avere conseguenze sui rapporti diplomatici, sono due. Il primo è una storia di copertina dedicata al “Paese delle vacanze Italia: rapimenti, ricatti, criminalità di strada”, come recitava il titolo stampato sopra la foto di una pistola appoggiata su un piatto di spaghetti. Eravamo nel 1977, nel pieno degli anni di piombo ed è vero che il clima dell’ordine pubblico in Italia non era per niente tranquillo. Ma va detto che, almeno per quanto riguardava il terrorismo, la situazione in Germania non era affatto migliore grazie alle imprese criminali della Rote Armee Fraktion, l’equivalente tedesca delle Brigate Rosse.
La protesta dell’Ambasciata italiana
Il secondo episodio, che provocò una protesta formale dell’ambasciatore italiano a Berlino, riguarda un commento sul naufragio della Costa Concordia in cui era scritto che non c’era di che meravigliarsi della fuga del capitano Schettino (come si ricorderà Schettino aveva lasciato la nave prima dei passeggeri e dell’equipaggio), visto che si trattava di un italiano, mentre un tedesco o un inglese sarebbe rimasto coraggiosamente al suo posto.
Altre critiche avevano un carattere più politico e anche, almeno in qualche caso, un certo fondamento. Lo Spiegel fu molto duro con l’esperienza di Silvio Berlusconi al governo e in un’occasione questa durezza arrivò sulla copertin: fu quando l’allora presidente del Consiglio italiano venne raffigurato al remo di una gondola affiancato da due escort. Ben più politicamente rilevanti furono i commenti negativi alla politica di bilancio dell’Italia negli anni dell’austerity, nei quali il nostro paese veniva annoverato tra le “cicale” che mettevano a rischio la tenuta dei conti e rischiavano di danneggiare l’euro e l’intero sistema finanziario europeo. Anche le scelte del presidente della Banca europea Mario Draghi, almeno all’inizio, vennero criticate, con gli stessi argomenti usati allora dalla Bundesbank, come troppo indulgenti con i paesi superindebitati. Il tono comunque cambiò quando il quantitative easing cominciò a dimostrare i suoi effetti benefici e, soprattutto, quando il governo di Angela Merkel promosse insieme con i francesi la svolta che avrebbe portato la Commissione europea ad emettere bond europei per il Recovery Plan. Allora, alcuni commentatori, anche sulle pagine dello Spiegel, ammisero che la durezza dell’austerity passata erano state eccessive, soprattutto verso la Grecia, e che chi, come l’Italia, l’aveva criticata non aveva poi tutti i torti.
Va detto, per chiudere questo capitolo, che se Der Spiegel mostrò, in passato, durezze e pregiudizi verso l’Italia, non si può dire che anche certi media italiani non abbiano avuto scrupoli nell’adozione di toni duri e pregiudizi nei confronti dei tedeschi. Anche l’ambasciatore di Berlino a Roma ebbe motivo di protestare, ad esempio, quando la cancelliera Merkel comparve sulle vignette con i baffetti alla Hitler…
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