La variante inglese
non deve
farci troppa paura
Tutto è nato dal fatto che nelle ultime settimane il numero di casi di Covid nel Regno Unito ha avuto un’impennata, in particolare nel Sud Est dell’Inghilterra. Qualcuno ha cominciato a chiedersi cosa stesse succedendo, sono così partite indagini epidemiologiche e virologiche più accurate. Ne è emerso che la maggior parte dei casi erano dovute a una variante del virus SARS CoV 2 caratterizzata da numerose mutazioni sulla proteina spike, la proteina che forma gli spunzoni sulla superficie del virus. Il nome ufficiale dato in modo provvisorio alla variante è VUI 202012/01 (che starebbe per Variant Under Investigation), altri lo hanno battezzato B.1.1.7, ma per tutti ormai è la “variante inglese”.
Dopo che, il 19 dicembre il ministro della sanità britannico Matt Hancock ha dichiarato che la nuova variante del virus è “fuori controllo” nel Paese e che avrebbe una trasmissibilità molto maggiore (il 70% in più rispetto al SARS CoV 2 originale), la notizia ha creato non poco panico. Boris Johnson ha annunciato misure molto restrittive e alcuni paesi, tra cui l’Italia, hanno chiuso gli aeroporti ai voli provenienti dall’Inghilterra. Perché fa paura la variante inglese? E cosa c’è da temere?
I virus mutano, è normale
Che i virus mutino è noto, fa parte della normale evoluzione degli organismi. Ogni replicazione di un organismo porta a degli errori di trascrizione del codice genetico, i virus però si riproducono molto velocemente quindi le mutazioni sono molto più rapide rispetto a quanto avviene in un organismo superiore. Le nuove varianti emergono quando si accumulano diverse mutazioni, quindi si può dire che l’emergere di una nuova variante di un virus è un fatto atteso. Infatti, dal momento in cui Sars Cov 2 è apparso sulla faccia della Terra ha subito moltissime piccole mutazioni: è stato calcolato che ogni mese si accumulano due mutazioni, ma finora nessuna di queste ha cambiato realmente il modo in cui il virus si trasmette. Ora le cose sono un po’ diverse. Un po’ per motivi quantitativi e un po’ per motivi qualitativi. La variante inglese ha acquisito 17 mutazioni tutte insieme, sono molte, finora non era mai successo. Ma il problema principale è che molte di esse riguardano la proteina spike. Questa proteina è la chiave che il virus utilizza per aprire la cellula e infettarla, quindi è anche il bersaglio dei molti vaccini, sia di quelli già approvati, sia di quelli ancora in fase di sperimentazione. Se la proteina spike si modifica, questo potrebbe portare non solo a una maggiore capacità di trasmissione del virus, ma anche a un problema nell’efficacia dei vaccini. E’ così?
Sì e no. Per quanto riguarda la maggiore trasmissibilità, Muge Cevik un infettivologo dell’Università St Andrews in Scozia e consulente scientifico del governo britannico ha ricordato ieri in una intervista al New York Times che le stime sulla trasmissibilità sono appunto stime, basate su modelli e non sono ancora state confermate da esperimenti. E c’è anche chi dice che la maggiore diffusione di B.1.1.7 sia dovuta al caso piuttosto che a una maggiore capacità di infettare. Lo stesso, del resto, era avvenuto con una variante spagnola che era velocemente arrivata nel resto d’Europa, si pensava a causa di una sua maggiore contagiosità, invece si è poi scoperto che la sua diffusione era dovuta al fatto che molti europei erano andati in Spagna a fare le vacanze. Per farla breve, bisogna aspettare per dire una parola certa.
Certezza sui vaccini
Così come bisognerà aspettare per dire qualcosa di certo sui vaccini, anche se sono in molti a credere che la nuova variante non dovrebbe creare problemi alla risposta immunitaria dell’organismo. Esiste anche un precedente che fa ben sperare: un articolo pubblicato da poco sulla rivista Science ha mostrato, sul modello animale, che altre varianti di SARS COV 2 che presentavano un’aumentata trasmissibilità, vedevano comunque la loro azione neutralizzata da quegli stessi anticorpi che neutralizzano i ceppi più comuni. Ovvero gli anticorpi che vengono stimolati dai vaccini oggi in produzione e in sperimentazione.
Del resto, esiste un limite: il virus interagisce con un sito d’attacco e gli anticorpi sono diretti verso questo sito, se il virus dovesse mutare molto, potrebbe non essere riconosciuto, ma a quel punto potrebbe anche non entrare più nella cellula. Inoltre, dicono gli esperti, il nostro sistema immunitario è in grado di produrre una serie di anticorpi contro una singola proteina virale, rendendo difficile al virus sfuggire al loro attacco.
Non c’è al momento invece nessuna prova del fatto che questa nuova variante causi una malattia più grave. Si è visto che in Gran Bretagna colpisce soprattutto le persone sotto i 60 anni, ma in quel paese questo è vero anche per gli altri ceppi virali.
Piattaforme modificabili
L’ECDC, l’European Center for Disease Prevention and Control, ieri stesso ha pubblicato un rapporto (https://www.ecdc.europa.eu/sites/default/files/documents/SARS-CoV-2-variant-multiple-spike-protein-mutations-United-Kingdom.pdf ) per valutare la minaccia. La cosa essenziale, vi si legge, è “monitorare i cambiamenti nella proteina spike tra i ceppi di SARS COV 2 circolanti e valutare possibili cambiamenti antigenici”. Inoltre, sarà centrale nei prossimi mesi monitorare i casi che si manifestano nei vaccinati. Poiché nessun vaccino è efficace al 100%, sicuramente ci saranno casi di Covid tra i vaccinati, bisognerà quindi valutare attentamente se questo dipenderà dal fatto che la persona è stata infettata da una variante più resistente o se invece semplicemente dal fatto che non risponde bene al vaccino.
E comunque le piattaforme che sono state sviluppate in questi mesi per la produzione dei vaccini, sono facilmente modificabili in modo da allestire vaccini efficaci anche contro nuove varianti del virus. In sostanza, in un bilancio tra benefici e rischi, al momento non c’è motivo per cambiare la strategia di offerta dei vaccini, come hanno sottolineato le agenzie sanitarie europee e nazionali.
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