Davvero il centrodestra esce vincitore dalle elezioni amministrative?

Dopo il voto di sabato e domenica scorsi l’unica cosa certa è che non hanno vinto le “elezioni”, perché il numero dei votanti si fa sempre più piccolo, due per cento in meno rispetto alle precedenti amministrative, e la scena diventa preoccupante e non per questo o per quello ma per la democrazia in Italia. Si dirà che funziona così da decenni, dalla crisi dei partiti, dalla progressiva marginalità dei cosiddetti corpi intermedi, dal degrado della politica (cui hanno contributo tanti perversi show televisivi), ma tutto succede nella sommaria attenzione occasionale e nella indifferenza generale e continua (sarebbe utile ricordarlo anche alla nostra capa del governo, che vorrebbe ribaltare la Costituzione, pur sapendo di rappresentare una parte, in fondo modesta, della cittadinanza).

Ha vinto il centrodestra o hanno vinto tutti?

In questo caso, votando per i Comuni, un senso di appartenenza e di vicinanza avrebbe dovuto spronare qualche cittadino in più a presentarsi al seggio. Invece disinteresse o sfiducia o rassegnazione continuano a dilagare. Vedremo al ballottaggio, nei giorni che fisseranno davvero il bilancio di questa consultazione. Che per ora è ovviamente incerto. Il primo commento che mi ha raggiunto questa mattina, ad una radio, è stato quello forse più azzeccato, per quanto poco originale, ripetuto ad ogni occasione: hanno vinto tutti. Pronunciato con molta ironia, in realtà. Non così per l’illustre Corriere della Sera, che senza timori e senza ironia sparava in prima pagina: ”Centrodestra avanti nelle città”. Salvo spiegare, con maggior cautela, nell’editoriale di Francesco Verderami, che “l’interesse di queste elezioni è il turno che verrà, cioè il secondo. L’esito del primo ha dimostrato che il centrodestra non ha esaurito la luna di miele con i cittadini, mentre l’opposizione non ha usufruito per ora di un effetto Schlein. Il ballottaggio potrà indirizzare il risultato, ma non al punto di ricavarne un significato nazionale…”.

Laura Castelletti sindaca di Brescia
Laura Castelletti, sindaca di Brescia

Intanto l’opposizione, come chiariva il quadro/riassunto pubblicato a fianco, ha riconquistato Brescia, dove è stata eletta al primo turno, una donna, Laura Castelletti, già vice del sindaco Emilio Del Bono (passato in Regione con un boom di preferenze) e assessora, 55 per cento dei voti contro il 42 per cento del suo competitore, il leghista Rolfi, massicciamente sostenuto da Salvini (cinque visite in città) e dalla stessa capa del governo, regista di una campagna elettorale assai aggressiva con alcuni colpi di classe, tipo assoldare nella sua lista alcuni immigrati, indiani e sikh, gli stessi immigrati che negli anni scorsi aveva pesantemente osteggiato. Si dovrebbe poi ricordare che Brescia, duecentomila abitanti, è la città più importante del mazzo, la seconda “metropoli” della Lombardia.

Se si continua a consultare la tabella del Corriere si può scoprire che anche Teramo è finita al primo turno al centrosinistra (Pd e Cinquestelle), mentre il centrodestra ha vinto subito a Latina, Sondrio, Treviso e poi a Imperia con Claudio Scajola, al secondo mandato, l’ex ministro di Berlusconi per ora ultimo rappresentante dopo padre e fratello della dinastia Scajola al governo della città da decenni. Scajola meglio che al centrodestra attribuirà il successo a se stesso, all’eterno manovratore cioè di un solido sistema di potere. Lo ha proclamato lui stesso: “C’è chi parla di vittoria del centrodestra, ma io sono un civico”.

Si dovrebbe scorrere l’elenco dei comuni, ma è ovvio che le liste civiche la fanno da padrone e che le attribuzioni politiche sono pressoché impossibili. Però una citazione la merita Omegna, che piccola piccola non è (appena sotto i quindicimila abitanti) e che è pur sempre capoluogo di provincia, dove per dieci voti ha vinto Daniele Berio, candidato dal centrosinistra, e dove la “seconda” lista di centrosinistra s’è presentata terza con quasi seicento preferenze: piccola storia, quasi un aneddoto, un simbolo, di divisioni nella stessa casa, divisioni che hanno rischiato di consegnare una città alla destra.

Le incognite dei ballottaggi

Poi i ballottaggi e qui gli interrogativi valgono ovunque: Ancona, Brindisi, Massa, Siena, Terni, Vicenza. Con numeri talvolta di sostanziale equilibrio e prospettive di difficile decifrazione: decideranno le alleanze che si sapranno e si vorranno costruire. Il tema è sempre quello, dunque. Quanto basta a spiegare il titolo di Repubblica: “L’onda di destra si è fermata”. Ma se è vero lo si saprà tra due settimane. Nel frattempo, non si è alzata neppure l’onda del centrosinistra. Cioè alla fine non si è mosso nulla o si è mosso poco e forse era pura fantasia pensare che qualcosa potesse muoversi. Però ci sono stati dei segnali. Un titolo (o un sottotitolo) potrebbe essere: “Brescia, dopo Udine”. La speranza è di andare avanti: “Ancona, dopo Brescia e dopo Udine”. Magari qualche cosa ancora. Elly Schlein ha potuto orgogliosamente annunciare che il Pd è primo partito in nove capoluoghi su tredici.

Il voto delle amministrative, come ha illustrato il Corriere, non avrà un peso politico nazionale (nemmeno aggiungendo quello di Trentino e Valle d’Aosta, il 4 giugno, e di Sicilia e Sardegna, 11 e 12 giugno: il treno elettorale non si ferma mai). Bisognerà attendere le europee dell’anno prossimo. Ma intanto si può far tesoro di queste consultazioni, per capire come il Pd, i Cinquestelle, PiùEuropa, Sinistra italiana, persino i “separati in casa” del Terzo polo, eccetera eccetera, si possono attrezzare verso la costruzione di un ipotetico centrosinistra vincente. Le europee documenteranno i rapporti di forza, che pesano oggi a favore del Pd, come attesta pure l’ennesima mediocre riuscita della strategia di Conte (che in parlamento non manca occasione per andare in senso opposto al Pd). Ma perché non pensare per tempo ad una ipotesi di solidarietà piuttosto che ad una contesa sulla base dei consensi che l’una e l’altra delle forze in campo guadagnerà: un progetto, qualcosa di più di una opportunistica (e pure opportuna) quanto occasionale sintesi a un passo dalle urne?

CINISELLO BALSAMO (MILANO) - Piazza Gramsci, Incontro con segretaria nazionale del Pd Elly Schlein
La segretaria nazionale del Pd Elly Schlein a Cinisello Balsamo a sostegno dei candidato sindaco di centrosinistra, Luca Ghezzi. Ph Massimo Alberico / Agenzia Fotogramma

Il Pd di Elly Schlein continua lungo un cammino arduo, ma che si potrebbe definire piatto. Non male e forse non si potrebbe chiedere di più dopo pochi mesi di segreteria e dopo qualche mese in più dalla sconfitta di settembre. Se il Pd guadagna qualcosa lo fa a scapito dei suoi alleati/rivali del centrosinistra. Mentre non pesca nell’autentico serbatoio che è quello dei “vacanzieri del voto”, dei disillusi, degli sfiduciati, degli ipercritici, dei pessimisti ad oltranza, dei “tanto peggio tanto meglio” oltre che di quelli che hanno cancellato dal loro orizzonte qualsiasi forma di partecipazione e non dico altro, per carità.

Recuperare consensi, ripescando in quel serbatoio, dovrebbe essere il primo obiettivo di Elly Schlein, che dopo aver compiuto passi giusti (passi in senso letterale, andando a Cutro, a Firenze, a Milano, alle manifestazioni sindacali, eccetera eccetera) dovrebbe cimentarsi con le parole forti: quelle che lasciano intendere davvero una identità, un progetto, che si può costruire attorno a pochi temi, declinati però con chiarezza, concretezza, volontà di lotta. A cominciare dal tema della pace, che non si può delegare al flusso delle idee correnti da questa parte del fuoco. Il risultato di questi giorni e, probabilmente dei prossimi, concede ancora tempo al Pd (il partito, altro campo di riflessione e di azione) di Elly Schlein. Non troppo, però.

P.S.
Non si può occultare la buona notizia: Arpino, città natale di Cicerone, ha trovato un sindaco all’altezza, Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla cultura, licenziato a Sutri (da Fratelli d’Italia), vittorioso a capo della lista Rinascimento. Sotto il segno della modestia.