Dai Giganti a Tibullo, il senso della pace contro i costruttori di armi
Continua ad essere sempre più chiaro o meno oscuro chi ha maggiore interesse che continui la guerra in Ucraina. Ce lo spiegano abbastanza chiaramente richieste e risposte di armi. In modo particolare la richiesta (dall’una e dall’altra patrte dei belligerandi) di maggiori quantità di munizioni per fare funzionare le armi al meglio delle loro possibilità: uccidere e distruggere.
Che rapporto c’è armi e posti di lavoro?
Ce lo ha spiegato senza mezzi termini l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell al termine della riunione a Stoccolma, in Svezia: “Ho presentato un piano da due miliardi di euro per fornire più munizioni all’Ucraina e spero che i ministri della Difesa e degli Esteri che si riuniranno il 20 marzo lo possano approvare definitivamente”. “Il piano- ha aggiunto- si basa su tre binari: un miliardo per la fornitura di munizioni 155 e 152 mm, un miliardo per nuovi acquisti aggiunti e per ricostituire le scorte degli Stati e un piano a lungo termine per l’industria della difesa”…Ci sono quindici aziende europee che possono produrre le munizioni di cui abbiamo bisogno per l’Ucraina”, ha continuato Borrell, “Il miliardo di euro che stanzieremo per aumentare la produzione vorremmo venisse usato in Europa, che i soldi europei creassero posti di lavoro nell’industria della difesa europea”. Naturalmente, ha infine precisato, “se domani uno Stato membro fornisce munizioni per l’Ucraina, prese dalla sua scorta, non andrò a chiedergli dove le ha comprate”.
Tutto chiaro: fornire munizioni è un modo per creare nuovi posti di lavoro. L’industria delle armi, come è sufficientemente chiaro, è una delle maggiori produttrici. Non vi sono alternative? A ben vedere e andando anche indietro nel tempo ve ne sarebbero se l’obiettivo fosse solo quello di dare lavoro a più persone. Per esempio se provassimo a mettere fiori nei cannoni quanti fiori occorrerebbero investendo quanti soldi e favorendo quanti floricoltori?
“Mettete dei fiori nei vostri cannoni perché non vogliamo mai nel cielo Molecole malate, ma note musicali che formano gli accordi per una ballata di pace, di pace, di pace.” Così cantavano i Giganti (versi di Alberto Carisch e musica di Arrigo Amadesi) nel 1967 classificandosi addirittura terzi al Festival di Sanremo. E non solo cantavano una canzone che sarebbe diventata un inno del pacifismo, ma senza saperlo, anticipavano strumenti di lotta al cambiamento climatico non volendo “mai nel cielo molecole malate”.
Da allora sono trascorsi 56 anni, ma molti di più sono quelli che in un lontanissimo passato alimentavano speranze di pace contro le armi e le guerre. E riguardano non solo armi e guerre, ma la ancora più diffusa tendenza ad investire danaro in biechi interessi economici piuttosto che in rafforzamento degli strumenti pacifici ed efficaci, per esempio per la convivenza con i tanti rischi che affliggono l’umanità intera.
E ve ne sono: nelle cause scatenanti; negli ambienti e nei soggetti vulnerabili; nella conoscenza delle une e degli altri e, quindi, nella possibilità di realizzare le difese (previsione e prevenzione) e realizzare l’obiettivo della convivenza con il rischio. Non dovunque, ma in aree sempre più vaste che potrebbero coincidere con il pianeta se solo, dovunque, si investissero più fondi economici in ricerca scientifica e applicazione tecnologica rispetto a quanti se ne spendono, anche nei Paesi più esposti, per acquistare armi e fare guerre.
Quando l’aratro diventò una spada
È, questa, una contraddizione vecchia di secoli tanto che slogan pacifisti come “Fate aratri delle spade”, “Mettete dei fiori nei vostri cannoni” hanno, per esempio, un riscontro molto antico nei versi di Tibullo (1,10) Qui fuit, horrendos primus qui protulit enses? Chi fu il primo ad inventare le terribili spade? Ormai, a quei tempi, l’uso dell’aratro in ferro aveva agevolato le coltivazioni agricole, ma presto si “scoprì” che col ferro si potevano costruire anche armi. E Tibullo invitava a non approfittarne:
Coltivi la Pace intanto i terreni:
immacolata la Pace per prima
indusse i buoi ad arare sotto l’arco del giogo;
nutrì le viti e conservò il mosto dell’uva,
perché l’anfora riposta dal padre
mescesse vino al figlio.
In tempo di pace brillano aratro e vomere,
mentre arrugginiscono nelle tenebre
le armi micidiali del crudele soldato
(Traduzione Mario Ramous)
Questo scriveva Albio Tibullo duemila anni fa. Da allora, grazie anche alle rivoluzioni nei modi di sviluppo dell’agricoltura, sono sempre di meno gli aratri costruiti; e sono state sempre più numerose le guerre che hanno sconvolto l’intero pianeta Terra: per mari, per cieli e per terra.
E il pacifismo è diventato sempre più null’altro che una voce urlata nel deserto.
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