Da Piazza San Giovanni
il programma per un
arcipelago di sinistra

Una fase politica interessante si annuncia. Nella crisi della democrazia che permane a un livello di guardia, spiragli di una qualche alternativa alla situazione esistente già si avvertono. Nelle elezioni e nella piazza si annusa un vento nuovo, che per ora pare solo allo stato nascente, e però non va lasciato spegnere. La prospettiva non può essere certo quella che appassiona sul “Manifesto”, cioè di preparare un “oltre” che evoca addirittura una fusione tra i resti del Pd e del M5S.

C’è una ostinazione a sinistra nel rifiutare di cogliere la natura reale dei soggetti e dei processi politici. Non basta condividere “l’analisi logica” sulla Tav o le inclinazioni plebiscitarie per il referendum propositivo per augurarsi di concordare la genesi di un misterioso populismo di sinistra. Secondo i canoni più accreditati nella scienza politica internazionale, e sistematizzati soprattutto da Larry Diamond, in nessuno degli indicatori richiesti, il M5S (al pari della Lega di Salvini) è in grado di superare i livelli minimi di compatibilità con una nozione coerente di democrazia.

La delegittimazione sistematica dell’avversario (chiamato talvolta “criminale politico”) fa parte del codice genetico del non-partito che urla tutti a casa, e che per meta ultima sogna un sistema dove alla fine solo uno deve restare al potere, senza l’intralcio dei partiti, delle aule parlamentari, dei sindacati.

La insubordinazione istituzionale rientra anch’essa nella cultura originaria del movimento che già contro il “golpetto” di Napolitano provò a porre sotto assedio il Quirinale e, dopo gli imprevisti per il varo del governo gialloverde, ha abbozzato una marcetta su Roma per far sloggiare Mattarella.

L’assalto alle autorità indipendenti e alla separazione dei poteri, alla stampa indipendente (che per Grillo fa solo “vomitare”) fa parte dell’azione quotidiana del governo. Per non parlare della condivisa lotta contro i diritti umani e per una curvatura etnica al populismo, che ha bisogno di una venatura nazionalista e la cerca nella mobilitazione antifrancese.

I simboli del balcone di Palazzo Chigi recuperati come veicolo di comunicazione istituzionale evocano scenari inequivocabili. Come è possibile, allora, sulla base di queste solide manifestazioni di una mentalità illiberale, pensare di promuovere una malattia della democrazia repubblicana come di sicuro è il grillismo in una speranza da cui partire per l’alternativa?

La piazza ha scelto altre soluzioni. Il sindacato ha fissato i confini sul terreno sociale per reagire allo sfondamento del populismo che ha creato danni e ora vanifica gli stessi costi, sopportati dal lavoro negli anni di crisi, con la creazione politica delle condizioni della recessione. Tocca inventare strade nuove sul terreno politico. L’Abruzzo dimostra che il declino non è inevitabile.

Come principale troncone dell’opposizione, il Pd ha le carte in mano e non può pensare a riesumazioni di antiche vocazioni maggioritarie. La sola condizione per la sua sopravvivenza è quella di stringere intese con una molteplicità di esperienze, movimenti, soggetti. Il programma di un arcipelago di sinistra può essere quello di San Giovanni: costruire strategie europee di lotta di classe (altro che patria e sovranismo) e delineare politiche per il superamento della frammentazione giuridica, retributiva, simbolica dell’universo del lavoro, garantito o precario.