Da Pessoa alla Rivoluzione dei garofani
l’amato Portogallo di Tabucchi
Prima di iniziare a raccontare il mio Portogallo, vorrei fare un piccolo ma doveroso omaggio a uno scrittore a cui l’Italia – e non solo – deve molto della propria maniera di guardare al questo paese, alla lingua portoghese e alle sue letterature. Si tratta di una premessa necessaria, quasi metodologica, si potrebbe dire.
Antonio Tabucchi è forse uno degli scrittori italiani più amati al mondo, oggetto spesso di un vero e proprio culto a posteriori, come testimoniano le numerose manifestazioni a lui dedicate, tra mostre, giornate di studi internazionali, incontri di lettura, proiezioni cinematografiche e ora persino un’Associazione culturale che porta il suo nome, oltre a due bellissimi volumi de I Meridiani, curati da Paolo Mauri e Thea Rimini, usciti nel 2018. Altrettanto numerose, posso garantirlo da qui, sono le testimonianze dei semplici lettori che si aggirano per Lisbona sulle sue tracce e che spesso vanno a visitare la sua tomba al Cemitéio dos Prazeres, lasciando un segno del proprio passaggio: lettere, appunti di viaggio, un fiore, un nastrino, e naturalmente qualche copia dei suoi libri, come a dire “è stata la letteratura a portarci qui”. Perché quando si parla di Tabucchi, la letteratura c’entra sempre.
Nato sotto i bombardamenti
Tabucchi era nato a Pisa nel 1943, sotto i bombardamenti alleati. Era cresciuto però a Vecchiano, un piccolo borgo a nord di Pisa, sulle rive del fiume Serchio, vicino al Parco di San Rossore, dove D’Annunzio scrisse alcune delle poesie più belle dell’Alcyone, quelle che secondo Mengaldo agiscono dentro la poesia di Montale, facendone forse scoprire la bellezza ai lettori più diffidenti nei confronti del Vate. La passione di Tabucchi per la letteratura esplose con forza in un particolare momento della sua infanzia, quando un problema a un ginocchio lo costrinse a stare fermo a letto per un lungo periodo, condizione del tutto innaturale per un ragazzo che amava giocare a pallone e correre, come tutti ragazzi della sua età. Perché Tabucchi amava molto la letteratura,di quella forma d’amore peculiare che è spesso anche dolore, impasto di euforia e melanconia, di convinzione e scoramento, ma amava senza dubbio anche la vita, che poi non è altro che il proseguimento delle interminabili partite di pallone dei ragazzi.
Ma com’è arrivò in Portogallo, quel ragazzo di Vecchiano, in un’epoca in cui viaggiare non era né facile, né tantomeno scontato?
La scoperta di Tabacaria
Tabucchi ci arrivò nel 1965, proprio grazie alla letteratura, che l’anno prima lo aveva portato a Parigi, dove chiunque amasse davvero la letteratura, soprattutto in quegli anni, cercava di andare, anche solo per respirare l’aria che tirava. Fu grazie a un libricino dal titolo Tabacaria, scritto da un poeta portoghese allora pressoché sconosciuto in Italia, Álvaro de Campos, ovvero Fernando Pessoa. Quel libricino Tabucchi lo aveva acquistato in edizione francese, alla Gare de Lyon, mentre tornava a Pisa per iscriversi all’università. Salì sul treno da futuro italianista e ne discese determinato a comprendere quel poeta, la lingua in cui scriveva, il paese da cui proveniva e a mettersi, così, di nuovo in viaggio. Negli anni Sessanta però il Portogallo non era un paese facile. Intanto per raggiungerlo si dovevano avventurosamente varcare prima le Alpi e poi i Pirenei, e dopo si doveva attraversare la quijotesca Meseta, arida e trista sotto la mano di ferro del generalísimo Franco. Ma a Tabucchi la vita piaceva, come si è detto, e insieme a un amico salì su una Cinquecento e arrivò fino a Lisbona.
Il Portogallo, decisamente, negli anni Sessanta non era un paese facile. Non si poteva scrivere né parlare liberamente, ogni gruppo di persone superiore a tre poteva essere disperso a manganellate dalla polizia. Se in Italia si respirava già una brezza leggera che preludeva al vento forte che avrebbe in breve sovvertito l’ordine costituito, in Portogallo molti artisti e molti intellettuali vivevano perseguitati dalla PIDE, la polizia politica di Salazar, che nel cuore della notte poteva bussare con violenza alla porta di casa e farli sparire per giorni. Scrivevano fra le righe, cercando di evitare la matita blu e rossa dei censori, si passavano libri che leggevano in francese, in inglese e in italiano, grazie all’aiuto di librai coraggiosi che avevano contatti con altri paesi. C’erano i poeti Mário Cesariny e Alexandre O’Neill, lo scrittore José Cardoso Pires, e molti altri. Fra questi intellettuali che ammirava profondamente, Tabucchi trovò subito degli amici che lo riconobbero, e lo accolsero come uno di loro. In quella Lisbona plumbea, quegli scrittori e quegli artisti non cedevano, si opponevano con la forza di una narrativa che raccontava di un paese arretrato che reggeva la ricchezza di pochi sulla fatica e lo sfruttamento di molti, di un paese profondamente maschilista, razzista e omofobo; lottavano con la lama affilata di una poesia che faceva della propria ermetica complessità un’arma micidiale, contro l’ottusità che sempre caratterizza i totalitarismi.
L’antologia surrealista
Grazie a Tabucchi e ai suoi studi, di questo universo culturale silenziato cominciarono ad arrivare in Italia le prime notizie: nel 1971 curò infatti per Einaudi, un’antologia della poesia surrealista portoghese, il cui titolo era proprio La parola interdetta, dove l’assenza di libertà del Portogallo fascista veniva giustamente interpretata come uno dei fattori determinanti per la nascita di un movimento poetico così tardivo rispetto alla sua matrice francese.
Poi nel 1974, arrivò in Portogallo la Rivoluzione dei Garofani e con essa la fine di tredici anni di guerre coloniali in Africa, un inferno di morte e napalm paragonabile solo al più celebre Vietnam degli americani. Tabucchi insegnava già Letteratura Portoghese all’università, così come sua moglie Maria José, che da quella Lisbona plumbea del 1965 lo aveva seguito in Italia. E insieme iniziarono a tradurre l’opera del poeta che in un certo senso li aveva fatti incontrare, dando alle stampe i due volumi bilingui di Adelphi che portano il titolo di Una sola moltitudine I e II(1979 e 1984). Quasi nessuno a quel tempo conosceva Pessoa in Italia, ma quando uscì presso quell’editore lungimirante capace di scommettere su quello che Tabucchi ha sempre definito il “più grande poeta del Novecento”, in molti si fermarono a leggerlo, restandone abbagliati. Le traduzioni di Pessoa sono senza dubbio l’elemento portoghese più noto ai lettori di Tabucchi, perché allo studio e alla traduzione della sua opera si è dedicato fino alla fine della sua vita, ma non è certamente l’unico. La cifra portoghese più originale e certamente unica di Tabucchi è invece quella di aver trasformato la propria profonda esperienza di un intero universo culturale e umano in materia narrativa.
Tra Lisbona e Madrid
Accade per la prima volta nella raccolta di racconti Il gioco del rovescio(1981), con la misteriosa vicenda della portoghese Maria do Carmo, protagonista del racconto che dà il titolo alla raccolta, sospesa tra Lisbona e Madrid e la saudade.Già qui, però, oltre al “centro”,appare sulla scena anche la “periferia” portoghese, con l’Africa descritta nel racconto Teatro, dove un ufficiale di stanza in Mozambico assiste alle incredibili rappresentazioni shakespeariane di Sir Wilfred Cotton, allestite nel bel mezzo della foresta tropicale. In entrambi i casi, Tabucchi racconta un Portogallo enigmatico, sorprendente, ma anche inquietante per il suo passato coloniale che sopravvive ancora oggi nei volti e nelle parole di molti. Con le storie di Donna di Porto Pim(1983), invece, approda all’estrema periferia atlantica delle isole Azzorre: il canto delle murene e gli arpioni dei balenieri di Melville, la vita e la morte del poeta Antero de Quental e altri testi che fanno conoscere al pubblico italiano quell’arcipelago noto ai più solo per l’anticiclone che porta il loro nome. E ancora l’India portoghese di Notturno indiano (1984), dove Tabucchi, complice la millenaria cultura che sceglie come scenario di quella storia, rivela apertamente la propria inclinazione alla speculazione filosofica, che diviene in quel libro materia e motore del racconto, permettendo multipli livelli di lettura di uno dei suoi libri più perfetti. Il Portogallo e le sue antichediramazioni, dunque, funzionano in Tabucchi come sorgenti d’innesco per la sua letteratura. Non sono le uniche, s’intende, ma certamente hanno avuto grande importanza per il nostro scrittore.
E di questa importanza Tabucchi diviene poco a poco sempre più consapevole, come rivela chiaramente Requiem(1991), una “allucinazione”, secondo le parole del suo autore, scritta in portoghese e scaturita da uno stranissimo sogno che l’autore aveva fatto proprio in quella lingua che era ormai sua. Con Requiem Tabucchi crea a una precisa codificazione di Lisbona, popolata di personaggi che i lettori ricercano nei loro itinerari e che forse, in parte, Lisbona stessa ha fatto sua. Quando si va alla Casa do Alentejo, nella Baixa, per esempio, sembra di intravedere ogni volta i due giocatori di biliardo con la loro bottiglia di Porto del ’52, o quando s’incontra una zingara che vende magliette taroccate, abbiamo quasi timore che ci domandi se vogliamo conoscere il nostro destino.
È però con Sostiene Pereira, esattamente 25 anni fa, che il Portogallo e la sua storia diventano un inequivocabile segno tabucchiano. In Pereira l’amore per questo paese che ormai Tabucchi consideraa pieno titolo suo e dove si trasferirà poi definitivamente a metà degli anni Duemila, si unisce a un’esigenza d’impegno civile che si porta dietro da sempre e che, in quel momento, sembra avvertire di nuovo con urgenza. Torna a parlare di dittatura, con l’intento principale però di rendere universale la sua critica al sopruso contro i più deboli, oltre che di far conoscere la violenza di un regime spesso erroneamente considerato “morbido” rispetto agli altri totalitarismi del Novecento. E il Portogallo, con le sue periferie, il proprio passato e soprattutto il mito del proprio passato, diventa con Sostiene Pereira metafora di altri paesi, di altre realtà, presenti e future, dove imparare ad avere il coraggio di scrivere e di agire secondo coscienza, tenendo conto delle molteplici sfaccettature della realtà in gioco e non solo della narrazione dominante, si presenta come l’unica via possibile da percorrere. Ed è questa via, credo, che molti dei suoi lettori cercano ancora venendo a Lisbona, visitando i luoghi descritti o immaginati da Tabucchi nei suoi racconti e nei suoi libri. È una via difficile da trovare, che obbliga a riflettere a ogni crocevia sul da farsi, a mettere in discussione idee e sicurezze che provengono dal passato di ciascuno, o forse solo dall’abitudine. Ma probabilmente è l’unica che valga la pena percorrere, soprattutto quando l’aria, di nuovo, in un altrove che è nostro, si fa plumbea. Seguimos caminho, grazie Antonio.
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati