Da Odessa in Calabria, il drammatico esodo di tre sorelle ucraine

A. appare spaventata, rimane in mezzo al corridoio con le braccia penzoloni lungo i fianchi. Dalla camera dell’albergo in cui hanno trascorso la notte, la guardano altre due ragazze, le sorelle, minorenni. Sono ucraine, sono fuggite da Odessa e arrivate in Calabria prendendo diversi treni e autobus.

Da Odessa a Leopoli, dalla Polonia a Venezia

Da Odessa a Leopoli, quindi in Polonia, a Venezia, a Napoli. Qui, alla stazione, alcuni carabinieri le hanno viste e portate in un hotel per rifocillarle.  Ma i lupi cattivi sono sempre in agguato, così degli uomini hanno proposto alle tre ragazze sole una nuova sistemazione e un lavoro. Per fortuna A. è una sveglia, in patria viveva da sola e lavorava, ha capito tutto, si è rimessa in treno ed è così arrivata nel cosentino, dove aveva il contatto di un’amica che fa la badante in un paese di montagna.
Queste poche cose le ha raccontate a O., anche lei ucraina da anni in Italia, che segue con grande apprensione quanto succede nel suo paese e ora si offre come interprete ai suoi connazionali in fuga dalla guerra. In Calabria, dopo qualche peripezia, le tre sorelle hanno trovato per il momento una sistemazione sicura, si è riusciti a non separarle. Inoltre, possono fare riferimento al Punto luce Save the children, che mette a disposizione computer e connessione per la Dad delle più piccole, uno spazio in cui socializzare, fare sport.

Il bimbo che non parla e non cammina

Gli arrivi dall’Ucraina sono tanti, c’è bisogno di educatori, mediatori linguistici, psicologi, Save the children probabilmente manderà un’equipe.
“Un bambino di 4 anni, traumatizzato dalle bombe; non parla più, non cammina più. Ora verrà accolto, insieme alla mamma e ai fratellini, in una delle famiglie ospitanti, tante, che hanno dato disponibilità. Piano piano tornerà a camminare, a parlare, a sorridere. – ci racconta Angelo Serio, responsabile dell’Associazione Gianfrancesco Serio che gestisce il Punto Luce – O. e I. sono venuti con la mamma al Punto Luce a prendere informazioni per i corsi di italiano e per le altre attività. La piccola ha iniziato subito a giocare saltellando sulla campana e curiosando. Il fratello maggiore non alzava gli occhi da terra. Ma poi lo abbiamo portato dentro a vedere i suoi coetanei che stavano facendo coding, e un po’ si è rianimato. D. è un adolescente come tanti, ma mentre aspettava il suo turno per fare il tampone, gli ho dato una lieve pacca sulla spalla: lui si è irrigidito, poi è scoppiato a ridere, con la mamma, con me e con la sorellina. Rideva della sua paura”.

Myr, che vuol dire pace. In russo e in ucraino

Intanto, in quel corridoio, A. guarda fisso negli occhi O., parlano la stessa lingua e si capiscono: la prima si è lasciato tutto alle spalle, compresa la madre a Odessa, il ragazzo e gli amici rimasti a combattere, l’altra, avendo fatto già da tempo la scelta di vivere altrove, ora si fa prendere dalla nostalgia e dall’emozione. Ogni tanto dice alla ragazza: “vse dobre”, Va tutto bene. Vuole rassicurare lei e probabilmente anche sé stessa.
Le sorelle più piccole continuano a spiare dalla porta, A., ancora piantata al centro del corridoio, non ha cambiato postura. Ha i capelli raccolti in un telo, nel frattempo si saranno asciugati. È quasi ora di pranzo, se vogliono, possono andare a mangiare alla mensa della locale Caritas, anche se il gestore dell’hotel, che sta ospitando diverse famiglie di profughi, si offre di prendere lui qualcosa. Noi ci facciamo avvolgere dalla commozione quando l’abbracciamo e, nel salutarla, le diciamo “myr”, pace, che si dice allo stesso modo anche in russo.