Da emergenza umanitaria
a pericolosa
emergenza politica
È un’emergenza umanitaria senza precedenti. Migliaia di persone, molte famiglie, moltissimi bambini, sono prigioniere in uno spazio strettissimo nella foresta tra la Bielorussia e la Polonia. Non possono attraversare il confine verso la Polonia e non possono tornare indietro: sono bloccati al freddo e non ricevono da mangiare e da bere ormai da giorni. La tv polacca ha mostrato una sequenza in cui una bambina siriana implora un po’ d’acqua e viene minacciata col mitra da un poliziotto. E quando un gruppo di migranti è riuscito a rompere (pare anche con utensili graziosamente forniti dai militari bielorussi) la barriera di filo spinato armato e a inoltrarsi per qualche metro in territorio polacco sono stati duramente picchiati e portati via dai poliziotti. Dove non si sa: non certo in qualche ufficio dove potessero fare, come pure sarebbe diritto per la grandissima parte di loro, richiesta di asilo politico. Si sono sentiti anche degli spari e non s’è capito da quale parte del confine: dei morti ci sono stati, ma (per ora) a causa della temperatura che la notte scende a diversi gradi sotto lo zero e per la denutrizione.
Tensione con la Lituania
Ma la crisi umanitaria sta diventando una crisi politica dalle conseguenze che potrebbero essere molto pericolose. L’Unione europea e la NATO non sanno come reagire alla sfida di Lukashenko e di Putin, il quale ha smesso ogni ipocrisia da mediatore e si è schierato apertamente con il suo fido vassallo di Minsk, e la tensione si sta spostando, ora, anche ai confini della Lituania. Le ultime notizie parrebbero confermare che anche qui il regime bielorusso stia per schierare l’arma impropria dei profughi. D’altra parte, quella regione è un focolaio di tensioni per colpa certo dell’autocrate del Cremlino e delle sue pulsioni neoimperiali ma anche per le responsabilità dell’occidente che ha spinto l’alleanza militare fino ai confini della fu Unione Sovietica, disattendendo gli impegni che erano stati presi al tempo dell’unificazione tedesca, proprio nella zona geografica che i russi (sotto qualsiasi regime) considerano il cuneo indifendibile del loro sistema di difesa.
Il governo polacco ha imposto lo stato di emergenza lungo tutta la frontiera con la Bielorussia e la exclave russa di Kaliningrad e ha aggiunto alla polizia i reparti mobilitati dell’esercito. Sull’altro fronte, Mosca ha inviato agli alleati degli aerei da ricognizione di quelli che si usano per tenere d’occhio gli spostamenti di truppe. C’è da ritenere che si tratti di manovre solo dimostrative, ma quando la tensione è così alta c’è sempre il rischio di un incidente.
Bisogna insomma trovare il modo di disinnescare la crisi, ma come? Se dominassero ragione e buon senso, la prima cosa da fare sarebbe annullare l’arma di Lukashenko portando via dal confine i profughi dopo aver fatto passare loro il confine. In fin dei conti si tratta di qualche migliaio di persone (chi dice duemila, chi sei o settemila) che si potrebbero far entrare in Polonia per poi essere trasportate altrove con un corridoio umanitario. Verso dove? Berlino ha fatto sapere che non intende accogliere i profughi, i quali, in grande maggioranza, dicono invece che proprio in Germania vogliono andare. Ma si potrebbe adottare un meccanismo di distribuzione fra vari paesi come quello che venne inventato con la mediazione della Commissione europea a suo tempo, quando in Italia Salvini bloccava le navi dei soccorritori. Allora, è vero, si trattava di numeri sull’ordine delle centinaia e non delle migliaia e non c’era ancora la minaccia del Covid, che rende ovviamente tutto più difficile. Ma è l’ipotesi di soluzione cui, da quanto si può sapere da Bruxelles, starebbe lavorando la Commissione e che sarebbe stata oggetto di un colloquio che Ursula von der Leyen ha avuto ieri con Filippo Grandi, Alto Commissario dell’Onu per i Rifugiati. A una via d’uscita di questo tipo starebbero pensando, in contatto con il Vaticano, le gerarchie cattoliche polacche non asservite al regime.
Sfida sovranista
Ma questa ipotesi pare destinata a scontrarsi con l’irragionevolezza sovranista del regime di Varsavia, che appena poche settimane fa ha sfidato apertamente le istituzioni dell’Unione sostenendo la preminenza del diritto nazionale su quello comunitario. Il primo ministro Mateusz Morawiecki ha detto e ripetuto che nessun “clandestino” dovrà entrare in Polonia, che il respingimento dei profughi in Bielorussia è una questione di principio e che Varsavia non sta difendendo solo i confini propri, ma quelli di tutta l’Europa. La quale, secondo il credo sovranista, dovrebbe blindare le frontiere esterne erigendo il Muro per il quale qualche settimana fa 12 paesi dell’Unione, ungheresi e polacchi in testa, hanno chiesto non solo l’approvazione della Commissione, ma anche i soldi per tirarlo su.
La Commissione, allora, respinse al mittente la provocazione, ma a Bruxelles non tutti la pensano come la presidente von der Leyen e la maggioranza del Parlamento europeo che pure ha criticato fermamente la proposta. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, per esempio, ha detto che “si può aprire un discorso” sul finanziamento da parte della Ue di “infrastrutture fisiche alle frontiere” e che questo dibattito dev’essere pure veloce perché “i confini polacchi e baltici sono confini dell’Europa”. Per un paradosso la cui pesantezza dev’essergli sfuggita, Michel ha detto queste cose durante la celebrazione alla fondazione Konrad Adenauer della CDU della caduta del Muro di Berlino…
Ancora più esplicito, e più rozzo, è stato il capogruppo dei popolari al Parlamento europeo, il social-cristiano Manfred Weber: “Ci vogliono più difese, più muri, più recinzioni, più filo spinato a protezione dei confini dell’Unione europea”.
Insomma, le opinioni a Bruxelles sono divise e anche in questa occasione, come in molte altre, c’è da registrare una divaricazione degli orientamenti della Commissione e del Parlamento europeo, le istituzioni più inserite nel meccanismo della integrazione europea, da quelli del Consiglio, espressione delle volontà dei governi. Se prevarrà la linea della “fortezza Europa” è ben difficile che si troverà la via d’una soluzione giusta e umana della crisi nella foresta di Byałistok. Perché come si legge in un messaggio che il Movimento europeo italiano ha dedicato al disastro umanitario al confine tra la Polonia e la Bielorussia, “se non vogliamo che li usino (i profughi) come un’arma, smettiamo di averne paura”.
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