Anna Frank, il calcio
malato di violenza
Tempo qualche mese e poi saremo tutti di nuovo ad indignarci per il prossimo gesto idiota, il coro razzista e i buu contro un ragazzone che non ha la pelle bianca, gli slogan che invocano peste, colera e lava incandescente.
Portate pazienza, e ci saranno altri casi Anna Frank negli stadi della penisola. Perché troppo si è tollerato e minimizzato, affidando la questione a provvedimenti di ordine pubblico. Mentre qui, nelle rappresentazioni calcistiche nostrane, siamo di fronte ad un fatto ben più grave: aver coltivato l’ignoranza e dato un’aspirina per combattere il cancro della violenza e dell’intolleranza.
In tempi di razzismo e xenofobia, di “dagli all’immigrato” e di omofobia, di antisemitismo e di minacciate marce su Roma, gli stadi stanno dando il meglio di sé. Si cullano in questo clima e trovano alimento per dare fiato ad ogni cosa: il teppismo e il fascismo allo stato puro. Lo avevamo scritto poco prima che si diffondesse la notizia dello sfregio dello stadio Olimpico. È come un crescendo silenzioso. Fatto di tanti piccoli episodi. Che non fanno titoloni sui giornali e non provocano reazioni sul web, non sollevano proteste e interrogazioni parlamentari. Certo, ora si corre ai ripari e si invocano gesti esemplari: stelle di David sulle maglie (Renzi), quel fotomontaggio vergognoso, la faccia sorridente di Anna Frank, sulle maglie della Roma (il Corsera).
Il calcio e chi lo rappresenta ha scelto sempre linee di compromesso, blande, inefficaci, confuse. Perché il business è quello che è, nonostante non raggiunga le cifre e gli affari di altri paesi. Ma inglesi, spagnoli e tedeschi usano la mano dura per chi infrange le regole dentro e attorno un catino dove 22 giocatori corrono dietro una palla. E si sa: altrove queste cose, che pure talvolta accadono, vengono trattate diversamente.
La repressione non basta. Fare un adesivo di Anna Frank e mettergli la maglia della Roma, per dire ai romanisti siete degli “sporchi ebrei” è una questione culturale, innanzitutto. Un episodio del genere dice questo, purtroppo: il fallimento nell’educare alla tolleranza, al rispetto, alla memoria. Ma dice anche che troppo si è lasciato fare. Soprattutto da parte dei responsabili del pallone: Federazione, Lega, club. A Roma in particolare. In altre occasioni, ho avuto modo di scrivere che di fronte a certi fatti (le “puncicate”, i ferimenti con i coltelli che sono avvenuti attorno all’Olimpico, le continue scaramucce con la polizia, gli striscioni esposti nelle curve: Auschwitz la vostra patria, i forni le vostre case, curva di ebrei e via dicendo, il derby non giocato perché gli ultrà avevano diffuso la notizia, falsa, della morte di un bambino, l’uccisione di un tifoso napoletano), ebbene, tutte questi piccoli e grandi fatti sconcertanti e delinquenziali sono stati trattati sempre come “ragazzate”, delle bravate estemporanee dal mondo stesso del pallone: dai giornali ruffiani (non tutti si intende), alle società che hanno permesso ai loro tifosi ogni cosa. Anche di minacciare pesantemente i calciatori, di aspettarli al varco se perdevano più di qualche partita. Non solo a Roma.
C’era invece bisogno di gesti esemplari, di punizioni pesanti, di isolare i violenti, loro sì, in un ghetto. Di rotture traumatiche. C’era bisogno anche che la gente perbene, chi adesso condanna e si straccia le vesti, chi ogni domenica affolla le tribune vip e meno vip, si rivoltasse di brutto. Tu fai il coro contro il ragazzo che ha la pelle nera? Ed io ti sommergo di fischi e di pernacchie. Ti ridicolizzo allo stadio, fuori, sui social. Mi faccio sentire e ti sputtano. Questo non succede mai. Giusto qualche dissenso, qualche fischio però senza convinzione, iniziative isolate. Mai uno stadio che insorga e li mandi a quel paese. Anzi le reazioni sono quasi di fastidio di fronte poi a qualche provvedimento punitivo: ingiusto chiudere la curva, ma perché giocare a porte chiuse, in fondo non è successo nulla, sono pochi cretini che danneggiano la nostra squadra.
Anche per il caso di Anna Frank si è già detto che si tratta di qualche decina di adesivi lasciati nel covo del tifo romanista, la curva Sud, come un “ricordino”. La stessa Lazio ha parlato di “gruppo ristrettissimo di persone … un numero minutissimo di sconsiderati” che provoca danni all’immagine della società. Mi sarei aspettato parole severe di condanna altro che immagine sporcata. Altro che la contabilità degli imbecilli sciagurati. Questi signori lì non dovevano esserci, la curva era stata chiusa per i buu razzisti contro i giocatori del Sassuolo. Lotito e i suoi collaboratori hanno trovato invece l’escamotage: portiamoli in curva Sud, facciamoli pagare 1 euro per la campagna contro il razzismo, così facciamo pure una bella figura, e la squadra riceverà tutto il sostegno necessario. Nessuno, dalla Federazione alla Lega, ha fiatato. Zitti e ignavi. Si sono premiati quei cretini dei razzisti, abbiamo osservato nella nostra rubrica su Strisciarossa. E così è stato. Segno anche che i regolamenti che il calcio si è dato non funzionano: chiudere un settore per tenerne aperto un altro è una misura inadeguata.
La Lazio ha una parte della tifoseria che guarda a destra, esalta il fascismo, usa parole d’ordine di quel mondo lì. Da sempre. Tanti gli episodi, tanti i personaggi legati al mondo dei camerati. Il più noto, Concutelli, il terrorista che amava definirsi “fascista e laziale”. E’ una fetta larga di stadio che continua a prosperare e a manifestarsi, nonostante più volte si siano levate voci contrario all’interno dello stesso tifo biancoceleste.
Ma non è che altrove stiano meglio. Sull’altra sponda, ad esempio, quella romanista, si sono via via moltiplicati negli anni episodi di segno analogo. L’ultimo: i cori razzisti a Londra contro l’ex Rudiger. Sui quali l’Uefa ha aperto una inchiesta. Come la nostra Federcalcio fa ora con quanto è successo domenica sera in curva Sud. Vedremo.
Ma a Roma, come in altri parti, non si può continuare con i pannicelli caldi. Servono misure drastiche e che lascino il segno. Chiudere gli stadi a tempo indeterminato ad esempio. Sì, il club vada a giocare da un’altra parte, senza tifosi, senza incassi. Oppure le società cancellino gli abbonamenti a chi non si comporta sugli spalti in modo corretto. Lo possono fare, lo facciano. In Questura hanno immagini su immagini dei teppisti. Un atto di coraggio per tagliare legami che non si sono mai spezzati abbastanza. E regalino a questi teppisti anche una copia del Diario di Anna Frank.
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