Da “All’armi” a “Zapad” un alfabeto per capire questa guerra

Ecco un alfabeto della guerra in Ucraina per tentare di orizzontarsi, con fatti e documenti, in una crisi epocale dei rapporti Est-Ovest. Ma prima facciamo gli scongiuri. Frank Fukuyama, politologo statunitense noto per la sua tesi sulla fine della storia, ha appena previsto una “nuova nascita della libertà” che ci farà uscire “dalla nostra depressione sul declino della democrazia globale. Lo spirito del 1989 continuerà a vivere, grazie a degli ucraini coraggiosi”.

A come ALL’ARMI. Declinabile con esclamativo per i più entusiasti della corsa al riarmo presente e del prossimo futuro oppure senza per chi accetta a fatica l’aumento delle spese militari o non ne vuole sapere in base al semplice principio che l’Europa così facendo rischia di tradire i suoi principi, alzare la tensione e sovrapporsi sempre più tragicamente alla Nato. Gli Usa prediligono la variante “armiamoci e partite”, ovvero siamo pronti a incrementare di brutto l’invio di armamenti sul teatro di guerra e nei paesi Nato a contatto con la Russia, ma occhio a non cadere nel baratro della terza guerra mondiale. Un briciolo di contraddizione c’è.

B come BIDEN. “Putin è un macellaio e un dittatore”. Il presidente americano più che un elefante nel famoso negozio di porcellane, con le ultime intemperanti dichiarazioni ha semplicemente versato una bella tanica di benzina sul rogo ucraino. A qualche migliaio di chilometri dal teatro bellico è facile e serve molto sul piano della politica interna per risalire nei sondaggi. Ci sono stati momenti storici in cui gli Usa hanno combinato guai peggiori, tipo finanziare i talebani afghani in funzione antisovietica. Insomma oggi e ieri, alta diplomazia. Quanto all’esportazione della democrazia e ai cambi di regime, l’America è una specialista nello scoperchiare vasi di Pandora in giro per il mondo.

C come CONTAGIO. Putin aveva da tempo avuto rassicurazioni dalla Nato che “gli Stati membri non hanno alcuna intenzione, alcun progetto e alcuna ragione di dispiegare armi nucleari sul territorio di nuovi membri” dell’Alleanza. Solenni parole contenute nell’“Atto fondativo sulle relazioni, la cooperazione e la reciproca sicurezza tra la Nato e la Federazione Russa” firmato a Parigi nel maggio del 1997, insieme a una sfilza di ottime intenzioni sul rifiuto di atti di forza, il rispetto dei confini, la ferma volontà di perseguire rafforzare la pace in Europa. Per questo la Nato s’impegnava a “ridurre in modo radicale le sue forze convenzionali e nucleari” e, unitamente alla Russia “contribuiranno a rinforzare l’Osce”, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Per una volta alle parole erano seguiti i fatti e le armi di teatro sono state nel tempo fortemente limitate. Il documento, che ora sembra un fossile delle buone intenzioni del secolo scorso, è reperibile nel sito della Nato. Nel ’97 presidente russo era il liberalizzatore Eltsin, la Nato si allargava allegramente, gli Stati Uniti si fregavano le mani monopolizzando il mondo (o quasi) come superpotenza incontrastata. Passano diversi anni in cui Putin, nuovo uomo al comando insofferente del dilagare a Oriente dell’Occidente, rispolvera poco a poco un animus imperiale, fino all’aggressione del scorso febbraio, preceduta da segni giganteschi del suo disegno politico (Crimea, Donbass). Il contagio? È quello della democrazia, il fattore, secondo molti analisti, più temuto dal potere russo, ovunque e massimamente in Ucraina, il giardino di casa. Dove i principi-base (divisione dei poteri, libertà civili, libere elezioni etc.) si stanno irrobustendo. Senza dimenticare gli intrecci fitti a livello familiare tra russi e ucraini, con conseguenti scambi di informazioni e punti di vista, molto “pericolosi”. Il mondo si era dimenticato che la Russia, media potenza economica, era rimasta una superpotenza militare/nucleare con reiterate pulsioni interventiste. Il promemoria è stato brutale.

D come DETERRENZA. La garanzia della mutua distruzione come base della pace. Un terribile paradosso che si nutre, incredibilmente, di fiducia reciproca tra le grandi potenze. Fiducia ormai prosciugata, nell’alzarsi del livello della sfida e in lunghi anni di silenzio europeo. D anche come Donbass, naturalmente: otto anni di guerra sanguinosa, evidentemente non abbastanza secondo i nostri canoni per preoccuparci. Intanto le tre stelle polari che dovevano garantire un continente migliore, cioè europeizzazione, democratizzazione, mercatizzazione, sono entrate in stand by.

E come ELTSIN. Simbolo degli anni di vacche grasse per gli investimenti occidentali, il mitico “corvo bianco” che sfida i nostalgici del’Urss nell’agosto del ’91 salendo su un carro armato davanti alla sede del governo e del Parlamento. E vince. Passano due anni e alla storia passano vicende poco ricordate. Eltsin è un liberalizzatore feroce, spinge verso privatizzazioni a valanga in un Paese che a stento conosceva il termine “privato” fino a poco prima, gli oligarchi iniziano a mettere su grasso. Il Parlamento non gradisce l’incremento dei poteri presidenziali, lo minaccia d’incriminazione e Eltsin, senza tenere in alcun conto la Costituzione russa, lo scioglie. È il 21 settembre del 1993. Il Parlamento risponde deponendo Eltsin, in piazza si manifesta contro le liberalizzazioni. Il 4 ottobre,

Boris Eltsin intima a Mikhail Gorbaciov lo scioglimento del Pcus
Il dito puntato: Boris Eltsin intima a Mikhail Gorbaciov lo scioglimento del Pcus

non molto liberalmente, il Corvo Bianco si sporca le piume e schiera i carri armati davanti al palazzo del Parlamento, seguirà la resa e l’arresto dei parlamentari asserragliati. Il tutto secondo un concetto molto particolare di democrazia e comunque molto, molto russo.

F come FINLANDIZZAZIONE. Se ne parla in questi giorni di trattative come di una sottomissione da rifiutare con sdegno. Il termine fa riferimento allo scambio neutralità contro indipendenza tra Finlandia e Unione Sovietica con particolare riferimento al confronto impari tra uno Stato piccolo e un gigante continentale e mondiale. Per la cronaca, i finlandesi dopo la guerra non se la sono passata poi male, anzi.

G come GUMILEV. Lev Gumilëv è tra i meno noti nel nuovo pantheon di ispiratori della folle riscossa nazionalista putiniana. Lo zarista reazionario Ivan Ilin (1883-1954) ha fatto più scalpore, ma Gumilëv (1912-1992) con la sua spinta verso il concetto di destino comune dei popoli eurasiatici (destino molto russo, secondo la lettura di Putin) e l’idea di “passionarietà” come spinta vitale corroborata da energia biochimica, non è da meno. Si sentono profumi tipici del versante esoterico del Terzo Reich e il concetto di Lebensraum, spazio vitale, è una ciliegina su una torta indigeribile dal senso comune occidentale del Terzo Millennio ma funzionante a puntino per imbastire una narrazione di riscossa, ritorno alle radici, potenza rinnovata. In un Paese come la Russia, ovviamente.

I come INDIPENDENZA. L’ Atto di dichiarazione d’indipendenza dell’Ucraina è stato adottato dalla Verchovna Rada, il parlamento monocamerale, il 24 agosto del 1991in risposta al putsch contro Eltsin. Per il putiniano Viktor Janukovyc, primo ministro e poi presidente fino alla rivolta di EuroMaidan nel 2014, doveva trattarsi di una indipendenza sui generis, molto prona al Cremlino, tanto che è stato cacciato dopo che aveva sospeso l’accordo di associazione tra Ucraina e Unione Europea.

K come KENNAN. George Kennan (1904-2005), figura carismatica della diplomazia americana, storico, politologo. Nel suo diario, ormai un vegliardo, così scrive il 4 gennaio del 1997, in fiero disaccordo con la decisione di Clinton di associare alla Nato Ungheria, Polonia e Cechia, come poi avvenuto due anni dopo: “Mi aspetterei un forte militarizzazione della loro (russa, ndr) vita politica, accompagnata dalla roboante esagerazione del pericolo e dalla ricaduta nell’antica, venerabile visione della Russia quale oggetto innocente delle brame aggressive di un mondo malvagio ed eretico”. Profetico.

L come LIBERTA’ DI STAMPA. Putin ne ha un’idea molto soggettiva. Dal 2008, in linea con la riscossa “imperiale”, in Russia esiste un Servizio federale “per la supervisione nella sfera della connessione e comunicazione di massa”. Si chiama Roskomnadzor e si occupa di censura, controllo delle comunicazioni, frequenze radio, oscuramenti di trasmissioni, cose così. I giornalisti non allineati o scappano o tacciono. Gli altri devono imparare a memoria la seguente frase, ospedale pediatrico mariupol bombardatoascoltata da un giornalista. russo invitato in tv da Lilli Gruber: “Noi la chiamiamo operazione speciale militare, perché non abbiamo una guerra in corso contro l’Ucraina. Abbiamo solo un conflitto con delle persone che con delle parole e gesti nazisti hanno preso in ostaggio città e popolazioni ucraine”. Per certi aspetti l’Occidente non è poi così male.

M come MARIUPOL. E Mariupol come Dresda o Coventry, per restare in Europa. Missili a pioggia, vendicativi, rabbia da suprematismo russo risvegliato con tutti i suoi demoni. La prevalenza di russofoni in quella città capoluogo del distretto di Donetsk, peraltro non caratterizzata da sentimenti antirussi (fino a un mesetto e più fa), dovrebbe far riflettere il Cremlino sullo slogan “salvare i russi dal genocidio”. Nel senso che i missili a domicilio non rientrano esattamente nella categoria “strumenti di liberazione”.

N come NEUTRALITA’. Un futuro auspicato per l’Ucraina. E sarebbe un ritorno al passato, infatti fino al 2014 (annessione Crimea e invasione Donbass) il Paese aveva uno status neutrale, come scritto nella Dichiarazione di indipendenza del Paese nel 1991 che dava seguito all’auspicio contenuto nella Dichiarazione di sovranità dell’Ucraina del luglio dell’anno precedente: “La Repubblica Socialista Sovietica Ucraina dichiara solennemente la sua intenzione di diventare uno stato neutrale permanente che non partecipa a blocchi militari”.

O come OCCIDENTE. Per la Russia putiniana una sentina di vizi, debolezza, costumi corrotti. Putin lo ha invidiato, lo ha cercato, ha imparato a odiarlo. L’Occidente come idea e pratica vive ora una fase di rinnovata spinta identitaria, ma è pronto a dimenticare i sentimenti che uniscono alla prima occasione e ad evitare qualsiasi autocritica, ad esempio al ruolo della Nato. Perché dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Nato non è più solo un’alleanza difensiva, vedi i bombardamenti su Belgrado nel 1999, l’imposizione alla Libia di una no-fly zone nel 2011, l’appoggio alle guerre americane, dall’Iraq all’Afghanistan.

P come PUTIN. Va bene l’eterogenesi dei fini, per cui Vladimir sta ricompattando l’Europa avviandola sulla strada di una difesa comune e integrata, però basterebbe già così, grazie. Un suo propagandista bielorusso, tal Grigorij Azarenok, ai primi di febbraio, a grancassa tonante, avrebbe voluto distruggere Kiev coi missili nucleari ed erigere nel deserto conseguente una statua di Putin alta 300 metri che coi suoi occhi “contagerà le belle democrazie col virus della dittatura” (da Limes, numero 2 del 2022,pag. 50).

Q come QUICK RESPONSE. Risposta rapida e alta tecnologia, la Nato guarda verso un radioso futuro. Ma Q anche come QUINTET, il gruppo di consultazione-decisione a cinque con Usa, Germania, Regno Unito, Francia e Italia.

R come RUSSIA. Russkij Mir, Mondo Russo. Più se ne parla più si alza l’indice di separatezza tra Russia e resto d’Europa. Ora è altissimo, con punte tragicomiche (divieto per un corso su Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano e altre genialate sparse). Sarebbe meglio lasciare gli istinti “razzisti” fuori dalla porta del cervello.

S come STINGER. Missile terra-aria. Si dà da fare in Ucraina, dove sta affluendo un notevole arsenale. L’Italia ha sbolognato armi “buone” e un po’ di fondi magazzino.

T come TARTU. Città siriana che ospita una base navale russa. Con i bombardamenti su Aleppo e non solo, Putin si è da poco conquistata in Siria pure una base aerea, a Khmeimim.

U come UCRAINA. Guerre classiche, guerre civili, invasioni, pogrom, stermini, ridisegni dei confini. Una terra geopoliticamente sismica che ospita l’ennesima stagione di morte. E a ogni guerra lo spirito nazionalista (se preferite: patriottico) si irrobustisce.

V come VERTICE. Nel 2007, alla conferenza sulla sicurezza di Monaco Putin gioca carte nuove, quelle del rifiuto del mondo “monopolare” sotto l’egida americana. E parla apertamente di “interessi privilegiati” russi da rispettare in Georgia e Ucraina. La Russia non vuole più stare alla periferia d’Europa, ma nel centro dell’Eurasia, spiegheranno al Club Valdaj, un pensatoio del Cremlino. Un anno dopo, al vertice Nato di Bucarest nell’aprile 2008, l’adesione di Georgia e Ucraina viene chiaramente messa sul tavolo su insistenza americana (presidente Bush junior). E via sulla rotta di collisione. In agosto, la Russia occupa la Georgia.

Z come ZETA. Per significare “zapad”, ovest? La sigla sui carri armati russi non sta portando eccessiva fortuna e peraltro l’attenzione strategica ora vira sul Donbass, a est.

P.S.
Si è molto parlato della famosa promessa americana a Gorbaciov di non spostare verso Est la Nato in cambio del “sì” sovietico alla riunificazione della Germania. Non ci fu un impegno? Fu solo un impegno verbale? Volendo si può consultare questo sito.