Cronache dal Kenya: morire di fame
o di Covid-19?
“Lo aspettavamo e anche in Kenya è arrivato il coronavirus. Tutto è successo in meno di 24 ore. Ieri mattina, abbiamo convocato un incontro dei responsabili delle case di Koinonia, per decidere insieme le indicazioni da dare ai bambini. Dopo poche ore, è stato dato l’annuncio di un primo caso, a Ongata Rongai, la cittadina alle periferia di Nairobi”.
A scriverlo, quindici giorni fa, era padre Kizito Sesana, missionario comboniano in Africa, impegnato in alcuni progetti con l’associazione Amani. Un racconto intenso, che affida a chi vive a migliaia di chilometri di distanza e si trova a condividere, oggi, paradossalmente, la stessa condizione. In quei luoghi, la strada può significare morire o sopravvivere; stare a casa, la stessa cosa. A farne le spese sono spesso i bambini, quelli che dalla strada ricavano espedienti e quelli che finalmente, grazie a progetti solidali e all’azione di Ong, una casa l’hanno trovata.

Come spiegare ai bambini il senso del social distancing, al Kivuli Center, a Nairobi, in Kenya, dove, tra le varie attività, ci sono una radio comunitaria, una scuola di computer per gli intagliatori del legno, il dispensario, uno studio di registrazione, la squadra di pallacanestro e la sede di due importanti Ong? Come si fa a dire loro di restare a casa, quando una casa vera e propria non c’è? Significherebbe disperdere e perdere tutti i bambini del quartiere. Una emergenza in più, che può annullare anni di impegno spesi per ricostruire una comunità, per offrire una nuova, grande famiglia, un futuro.
Padre Kizito legge i primi messaggi, stanno cambiando improvvisamente molte cose, è chiuso, ad esempio, il campionato di calcio, in cui la squadra del centro era ai primi posti, i negozi sono presi d’assalto e già manca il sapone liquido.
“Esco a far due passi. – scrive -. Apparentemente tutto è normale. In centro metri sul nostro lato della Kabiria Road, nelle strutture in muratura (più o meno) a 3 o 4 metri dal bordo della strada, conto 32 esercizi: falegnami, barbieri, macellai, riparazioni di telefonini, rivendite di abiti usati, una rivendita di medicinali (difficile chiamarla farmacia) e due chiese, Poi c’è la linea di bancarelle, che toccano il bordo della strada, spesso interferiscono con il traffico: rivenditori di frutta e verdure, pesce secco, schede telefoniche, secchi di plastica, bulloni e viti usate, un ragazzo che espone 5 paia di scarpe usate, o rubate? Dall’altro lato della strada è la stessa storia”.

Un brulicare di vita, e invece dicono di stare a casa. Casa: una stanza, in cui la sera si mettono le coperte a terra, con servizi in comune, acqua alla fontana. Da questa casa molti bambini, già adulti, al mattino presto escono per allestire la loro bancarella; se non potranno più farlo, il giorno dopo non mangeranno, a fine mese niente soldi per l’affitto. “Vedo Peter, l’ometto che ogni mattina accende un braciere a pochi passi dal cancello di Kivuli e arrostisce pannocchie di mais per i passanti. Gli va bene se guadagna 50 o 60 scellini al giorno, mezzo euro. Se non potrai restare in strada, come farai? Scuote la testa e ride. Non vuole pensarci”, dice il missionario.
Intanto, nei giorni successivi, il presidente Uhuru Kenyatta inizia ad applicare misure più restrittive e sorge impellente il problema di come proteggere bambini e studenti, quando le scuole chiuderanno. Mandarli a casa propria, significa mandarli in quartieri con condizioni igienico-sanitarie già precarie.
“I bambini sono sempre una luce. Vorrei potervi mostrare due foto di Sammy. Ne ho una di quando arrivò a Ndugu, si vede un bambino di una decina d’anni dallo sguardo triste, arrogante ed impaurito allo stesso tempo, scalzo, un paio di calzoni stracciati, una maglietta che una volta era dei colori della Roma, trovata chissà dove. Ne ho un’altra fatta ieri pomeriggio quando sono andato a Tone la Maji per vedere la sistemazione dei nuovi arrivati. Ero un po’ stanco, e probabilmente si vedeva. Sammy, appena mi ha visto, mi è venuto incontro correndo a braccia allargate per abbracciarmi. Ho teatralmente rifiutato l’abbraccio, gridando: No, no, Coronavirus! Sammy mi ha scansato e si è buttato sul prato, rotolandosi e ridendo. L’immagine delle felicità. Poi mi ha detto: Padre, qui tutto è così bello! Grazie!”.
Padre Kizito non può perdere altro tempo prezioso, prende quindi contatto con le autorità, per trovare insieme soluzioni adeguate ai bimbi come Sammy e ai giovani che vivono per strada. Per la gente del posto la scelta è tra il morire di coronavirus o di fame.
Si decide così che, in caso di necessità, Kivuli e la scuola Domus Mariae, temporaneamente vuote, saranno messe a disposizione dei malati o di altri servizi sociali che potrebbero diventare necessari. I bambini rimangono sereni e protetti a Mthunzi, con ampie possibilità di stare anche all’aperto. La parola che vince è condivisione. “Siamo tutti sulla stessa barca, anche se alcuni hanno i remi, altri no”, commenta il missionario. Tuttavia, chi non ha i remi ha mani e cuore grandi, i propri e quelli di chi li ama e si prende cura di loro, perché, riportando uno slogan della onlus Amani, “quello che sei e che puoi diventare non dipende solo dal luogo in cui sei nato”.
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati