Svezia, la sinistra tiene
ma il pericolo
viene dall’ultradestra

In questa elezione svedese non c’è nulla da esultare. Nessuno “scampato pericolo” per le sinistre, per il “modello sociale nordico”, per una crescita economica meno disumana e precarizzante, per una regolazione dei flussi migratori seria e salvata dalla propaganda. Soprattutto nessun scampato pericolo per la UE. Un partito nazionalpopulista fra i meno digeribili accresce ancora di un terzo i propri voti, il 17,6% e ingoia pezzi molto cospicui di elettorato liberalconservatore e socialdemocratico: 317.125 voti in più, che con 6 milioni di votanti è davvero tanto. Avrà grandissimo impatto sulla democrazia svedese, ed in modi imprevedibili. E, fra qualche mese, al parlamento Europeo.

La socialdemocrazia va meno male del previsto (perde il 2,8%) e rimane nettamente primo partito, con accanto una sinistra “postcomunista” che cresce al 7,9% e che collaborerà se si sposta l’asse del governo a sinistra (cosa però molto difficile). Poi ci sono i verdi con cui governava, che perdono e passano di poco lo sbarramento del 4%. Rimane la differenza, quindi, anche in sere amare come questa, fra una sinistra che esiste ed una (la nostra) che non esiste. Una che è movimento davvero (così chiamano i socialdemocratici nordici la loro area: “rörelsen”, “il movimento”) e la nostra che passa il tempo a estinguersi una sigla dopo l’altra, una primaria dopo l’altra, un editoriale stintamente retorico dopo l’altro sui giornali padronali.

La socialdemocrazia dunque, “il movimento”, vive ancora, nei collegi dell’estremo nord addirittura ancora stravince (36%, coi post-comunisti anche al 31%), e totalizza quasi il 28,4%. Con un metalmeccanico alla sua testa, Löfven, per ora presidente del consiglio: un orfano, al mondo senza nessuno, che ringrazia ogni volta che può lo stato sociale per essere diventato ciò che è. La sua storia parla per “il movimento”, che è (e ha fatto della Svezia) una comunità di destino per tutti e di tutti (un tempo anche per gli immigrati) e una mobilità sociale ineguagliata. Proprio ciò che, però, tanti sentono scomparire in questi ultimi due decenni. Perciò il recupero rispetto a certi sondaggi ferali è stato troppo modesto per riguadagnare la forza già diminuita anche solo di 4 anni fa: persi altri 116.666 voti nonostante l’aumento di partecipazione del 1,1% (84,4 totale). I rivali maggiori del centro-destra (I Moderaterna) ne perdono però oltre 170.000.

Il recupero socialdemocratico c’è solo rispetto alle peggiori aspettative. Troppo poco non solo come voti, ma come approccio. La norma etica impressa alla Svezia da mezzo secolo di socialdemocrazia (innovare la produzione, mai sfruttare le persone, l’eguaglianza come norma e risultato ultimo) è da lustri distorta dall’ideologia imperante nella UE (esportare ad ogni costo) incapace di competere senza crescente sfruttamento, senza distribuire verso l’alto risorse che non mancano. Si precarizza, per esempio con lo “hyvling”, per cui il datore di lavoro può ridurre l’orario (e lo stipendio) ai propri dipendenti senza conseguenze. La rimonta di Löfven è arrivata gli ultimi giorni, promettendo molti miliardi welfare (“un referendum sul welfare”) dopo che in precedenza si era basato su “legge e ordine”.

Un tempo “il movimento” veniva criticato (ma votato) se non realizzava il prossimo pezzo di riforma del capitalismo, una lunga linea di sviluppo. Oggi viceversa è sempre meno votato perché si limita all’ultimo momento a “promettere” per limitare i danni. La sensazione, è stato detto, è che ha le soluzioni ma non vuole realizzarle, non quanto chiede soprattutto il sindacato LO, che ha fatto mezzo milione di chiamate per sostenere il partito. Così la tendenza sociale rimane quella: a ritroso, meno sicurezza sociale, più privatizzazioni e profitti privati nel welfare.

Altro insegnamento non più smentibile: la destra liberalconservatrice “classica”, pre-populista, perde anch’essa ed anche di più, soprattutto verso i nazional populisti. I Moderaterna, partito più grande e guida delle coalizioni di centro-destra 2006-2014 perde ben più della socialdemocrazia, sprofonda sotto il 20%, quasi al livello dei nazional populisti.

Ora che può succedere? I liberali del partito Centro, antica forza agraria, hanno promesso di non appoggiare mai governi assieme ai nazional populisti. Ma questi ultimi non si fanno impressionare: il popolarissimo leader Jimmy Åkesson, rauco di entusiasmo per la grande crescita, ha già mandato un messaggio appunto ai conservatori liberisti Moderaterna, e ai Cristiano Democratici (al 6,4%), fra i più disponibili. Cercherà di alimentare un’intesa di qualche tipo con questi due “vecchi” (anche perché logori) partiti. Di ottenere un risultato politico.

Il pericolo di questa soluzione è che, non avendo la maggioranza, anzi a ben vedere proprio perché non c’è l’ha, e non avendola nemmeno il centro-sinistra, si vada verso la creazione di un fronte inedito che le si opponga, superando il vecchio confine sinistra-centro destra in vigore da 60 anni. Coi socialdemocratici come perno, questa soluzione potrebbe raccogliere l’appoggio di Centro (in crescita all’8,6% proprio raccogliendo gli elettori di centro-destra più contrari ai nazional-populisti) e Liberali (il vecchio Folkpartiet in mediocre tenuta).

Ciò spaccherebbe la vecchia coalizione di centro-destra, ma constringerebbe la Socialdemocrazia, per tenere fuori dal salotto buono il nazionalpopulismo, ad una sorta di “grande coalizione” ovunque letale per i socialdemocratici. L’insidia è evidente: Centro e Liberali non vogliono saperne di abolire l’accentuata precarizzazione dei rapporti di lavoro, che la socialdemocrazia al governo ha rivisto in modo insufficiente. Soprattutto non vogliono abolire i profitti enormi, e impopolari, delle imprese private in scuola e sanità pubbliche, o finanziate dal pubblico.

Sarebbe la condanna ad un ulteriore arretramento socialdemocratico, ad una fuga ulteriore di lavoro sindacalizzato verso la destra nazionalpopulista degli Sverigedemokraterna. La storia, in Svezia come ovunque, lo indica con chiarezza: un mercato del lavoro spalancato verso il basso non porta ad accogliere, e respinge nuovi diritti per nuovi soggetti. Infatti, persino verso le donne gli Sverigedemokraterna sono restrittivi: niente quote nei consigli di amministrazione e niente ripartizione per legge sui maschi dei congedi parentali. Il risultato sarebbe identico: classi operaie, classi professionali, classi medie, ex socialdemocratici ed ex Conservatori, tutti a dare voti agli xenofobi. In Italia come in Svezia. Ovunque in Europa.