La retorica degli eroi
in corsia, “arma” di distrazione di massa
Un’analisi quantitativa condotta dal MIT, l’istituto di tecnologia del Massachusetts, sul linguaggio dei media e il COVID-19 ha rilevato come la parola “eroe” sia quella che ricorre con maggiore frequenza. Questo termine, e tutti gli elementi letterari ad esso legati, merita in assoluto la palma di “infodemic narrative”. Senza mettere in conto le teorie cospirazioniste e le false notizie, anche i professionisti dell’informazione normalmente accreditata, sono caduti nella trappola di accostare ai fatti uno schema fiabesco. Questo, un po’ alla volta, ha fagocitato i fatti, i dati, le cattive pratiche che hanno reso più difficile il contrasto alla pandemia, abbassando la soglia di attenzione critica del pubblico.
Informazione fuori fuoco
Ora, all’inizio della fase 2, alcuni siti di opinione e grandi testate, da The Conversation alla BBC, da The Correspondent a Der Spiegel, analizzano, con l’aiuto di esperti, questo fuori fuoco informativo, i danni che ha provocato e la via per evitare che le storie di coraggio possano funzionare da diversivi.
La retorica dell’eroismo ha certamente dato riferimenti e senso di coesione alle comunità. Nello stesso tempo, ha in molti casi fatto passare in secondo piano le reticenze, le disfunzioni dei sistemi sanitari, la lentezza negli approvvigionamenti, la violenza istituzionale delle case di riposo, la mancanza di cibo e spazio per il distanziamento tra i cittadini poveri. In questo modo l’eroe, creato con rapida investitura dal giornalismo, sia esso medico, infermiere, soccorritore, volontario, percorre sempre, nelle cronache e nelle inchieste, la strada del mito. C’è la situazione iniziale drammatica o dolorosa, segue una parte ricca di avventure e di azione in cui l’eroe protagonista deve superare delle prove e ingaggiare una lotta con il nemico, il COVID19, e c’è un lieto fine, anche quando i pazienti muoiono, perché il bene trionfa comunque sul male.
Per The Conversation, l’applauso settimanale di quasi tutti i cittadini europei ai lavoratori della sanità e del sociale è stato positivo, anche perché era un delle poche attività che si potevano fare assieme. D’altra parte, come hanno sottolineato i responsabili dei sindacati delle categorie della sanità nei vari Paesi europei, crisi ed emergenze devono diventare scenari per cui essere preparati sul serio. L’eroismo, dicono, implica che gli eroi scelgano di mettersi in pericolo, ma nessuno dei lavoratori dei servizi sanitari, in nessun Paese, viene assunto per svolgere una professione che li mette a rischio per il solo fatto di andare al lavoro.
“Non eroi, ma disperati”
Musaub Khan, specializzando del primo anno a New York, ha inviato un articolo a The New Republic, una rivista progressista fondata nel 1910. “Invece che chiedersi a livello politico e istituzionale perché le nostre condizioni di lavoro rimangano pericolose”, scrive Khan, “la nostra società glorifica la lotta dell’eroe tramite l’informazione. Ci applaudono perché mettiamo a rischio la vita, ma raramente abbiamo scelta. Non vogliamo lavorare tutti i giorni senza protezioni, ma dobbiamo pagare mutui, prestiti universitari e sostenere le nostre famiglie. Se non ci presentiamo in ospedale rischiamo di perdere il sostentamento. In questo senso non siamo eroi, ma disperati, legati e in trappola, con poche alternative. Abbiamo sacrificato troppo tempo e troppi soldi per fare la nostra professione”.
Lo specializzando, parlando non solo del personale sanitario, ma di tutti i lavoratori senza adeguate protezioni, cita Engels, in “La condizione e della classe lavoratrice in Inghilterra”, del 1884. Il filosofo tedesco, parlando di come il capitalismo sfrutti fino alla morte le persone afferma che “nessuno vede questo assassinio, la morte della vittima sembra naturale, dal momento che il crimine è più un’omissione che una commissione”.
In tutta Europa le organizzazioni dei lavoratori hanno sollecitato l’UE a disporre immediate misure protettive per gli addetti alla catena che produce beni e servizi vitali, non solo sanità, ma trasporti, commercio, pulizie e tanti altri.
La narrativa dell’eroe ha tolto un bel peso dalle spalle dei politici e dei programmatori, così come sta accadendo per la metafora della guerra. Siamo in guerra contro il COVID, hanno detto tutti i leader e la stessa Unione Europea. Ne consegue che, da cittadini, diventiamo soldati. I pieni poteri assunti in Ungheria da Viktor Orbán sono un estremo esempio. Potrebbe passare più di un anno e mezzo prima che si trovi un vaccino, ha precisato l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Per reggere questa pressione non serviranno gli appelli all’eroismo o al patriottismo, ma trasparenza, capacità di gestire i processi sanitari e sociali e, da parte di tutti, un maturo senso di cittadinanza, senza mostrine e senza corone d’alloro.
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