Umberto Eco come Marlene Dietrich? Se esiste un luogo della terra in cui il ricordo, e perfino il corpo, della bellissima e immensa artista tedesca a lungo non è stato amato, questo è la Germania dell’immediato Dopoguerra. Le rimproveravano d’essere fuggita altrove, invece che accettare le moine di Hitler, non le perdonavano d’aver tradito in un modo o nell’altro, la Heimat, la patria.
Così per Eco. Lui, alessandrino, aveva studiato al Plana, liceo classico della città piemontese ora governata dalla Lega. Il preside del liceo ha pensato che fosse cosa naturale dare il nome di Eco a quella scuola, sacrificando la vecchia titolazione, dedicata ad un astronomo ottocentesco certamente degno. Ma Eco è il nostro presente, area di coscienza lucida mai asservita, pochi italiani possono vantare una meritata fama globale quanto lui, sornione e geniale intellettuale, autore di testi belli e amatissimi in ogni angolo della terra. Eco, insomma, sembra un frammento di Rinascimento che ha forato brillante cinque secoli di storia italica non sempre entusiasmante. E ha studiato proprio lì, sui banchi di quella scuola. Tutto fila: il grande pubblico non troverebbe contraddizione nel progetto del preside, nulla di usurpato.
Ed ecco, invece, che dalle nebbie padane emerge cazzuto il territorio, che se ne fotte del grande pubblico globale e risponde solo al suo privatissimo intestino, spesso con spocchia rabbiosa. Di questa spocchia la Lega è ottimo interprete da molti anni, quindi la risposta del sindaco di Alessandria, Cuttica di Revigliasco, non sorprende: lui, con la sua giunta, ha detto di no, spiegando che sopprimendo il vecchio nome si sarebbe cancellata la storia, ed è di storia e di memoria del passato che oggi abbiamo disperato bisogno. Un gigante del pensiero, questo sindaco, capace di usare dinamiche di sinistra – il richiamo alla difesa della memoria – nella reazione fondamentalmente isterica ad una ragionevole proposta.
Sempre il sindaco ci tiene a spiegare che per Eco ha in mente cose grandi, ma intanto di dare quel nome al liceo non si parla più. Nonostante sia stata attivata l’intera città sul progetto. Come a suo tempo per Marlene, anche per Eco è attiva una fatwa che al momento produce esattamente questa notizia, il cui segno è apprezzabile da Città del Capo a Los Angeles a Oslo: la città natale del più celebre intellettuale italiano non vuol dare il nome di Eco al liceo in cui quella intelligenza si è formata.
Il sindaco non lo ricorda, ma noi sì: tra Umberto e la Lega erano volati ceffoni, eccome. Questo, ad esempio, raccolto in un intervento critico datato 2015, guarda caso a proposito della memoria: “La memoria quindi è l’identità – scrive Eco -, ma allo stesso titolo la memoria collettiva è l’identità collettiva. Non possiamo parlare di Europa e sentirci europei se non siamo capaci di ricostruire continuamente quella che è stata l’identità europea. Quando vediamo i negatori beceri dell’Europa, come l’on. Salvini, si tratta semplicemente di una carenza culturale: lui non sa cos’era l’Europa e quindi non può neanche parlarne, poverino”. Salvini ci pensò su, doveva rispondere in modo intelligente e alla fine gli parve di aver trovato la strada giusta per colpire con eleganza e sopraffina levità: “Braccia rubate all’agricoltura”, disse di quelle di Umberto. Nessuno capì lo spirito di Salvini.
Forse Eco sarebbe stato un ottimo contadino, ma il caso lo aveva spinto a diventare quel che era, un intellettuale di livello e di fama mondiali. Il capo della Lega Nord non si riprese più da quel tremendo sforzo. Forse il sindaco di Alessandria sta ora provando a vendicare la ferita che Salvini si era inflitto per far, come si dice, bella figura con un contadino inconsapevole che infatti chissà come aveva scritto “Il nome della rosa”.
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