Così il popolo comunista salutò il suo segretario. I funerali di Togliatti
Il 21 agosto 1964, diciotto ore dopo l’ultimo intervento chirurgico, muore a Jalta Palmiro Togliatti.
Recita l’ultimo bollettino medico diramato: “Alle ore 13 del 21 agosto si è manifestata nel compagno Togliatti una improvvisa alterazione della respirazione e della circolazione sanguigna. Sono apparsi cambiamenti nel ritmo di respirazione e la accelerazione del polso è giunta fino a 146-150 pulsazioni per minuto con attività cardiaca alquanto disordinata. Alle 13.20 il battito del cuore si è arrestato. Un massaggio al cuore, la respirazione artificiale con ossigeno e la intenzione di medicamenti nell’interno del cuore hanno rianimato l’attività cardiaca. La morte del compagno Togliatti è sopraggiunta per paralisi dei centri vitali del cervello”.
«l’Unità», esce in edizione straordinaria con la prima pagina listata a lutto e la scritta Togliatti è morto, descrivendolo come “un grande figlio del popolo italiano, un dirigente geniale del comunismo internazionale, un combattente che ha speso tutta intera la sua esistenza in una lotta dura e infaticabile per il socialismo, per la democrazia, per la pace”.
Racconta Giuseppe Boffa sulle colonne del quotidiano: “Erano le 13.20 al campo di Artek, quando il cuore di Palmiro Togliatti ha cessato di battere. Dopo una mattinata di sole, il cielo si era coperto di nubi. Un momento di tensione disperata gravava sulla palazzina dove Togliatti era stato ricoverato in questi giorni. Il silenzio era rotto solo dalle voci soffocate dei medici, dai singhiozzi dei familiari, dal rapido spostamento di qualche infermiere. Dopo otto giorni di accanita resistenza contro la morte, ancora non ci si rassegnava alla tragedia. Nessuno parlava più. Ma i dottori non avevano ancora alzato le braccia. Tante volte, in questa terribile settimana, si era stati sul punto di pensare che non ci fosse più nulla da fare. Eppure, con sforzi disperati si era riusciti a evitare il peggio. Tutte le disposizioni erano state prese in precedenza per non abbandonare la lotta, neppure nel caso che fosse di colpo subentrata la morte clinica. Ed ora che ci si trovava proprio in questa circostanza, si continuava a tentare l’impossibile. I bravissimi medici della squadra di rianimazione ricorrevano a tutti i mezzi. Il defibrillatore, la macchina dei massaggi cardiaci, veniva messa in funzione. Per quattro volte si operavano iniezioni nell’interno del cuore. Col respiro artificiale, si cercava di mantenere in funzione i polmoni. Purtroppo, questa volta, nessuno sforzo poteva più essere coronato da successo, […] Al terribile annuncio, tutto il campo di Artek si è impietrito nel dolore. Il silenzio è tornato assoluto. Tutti erano sconvolti. Accanto a Togliatti erano rimasti fino agli ultimi istanti la sua compagna, Nilde Jotti, e la figlia adottiva Marisa. In tutti questi giorni entrambe avevano seguito con coraggio e decisione la difficile battaglia contro la morte. Ne erano state loro stesse partecipi. Nel loro dolore esse avevano vicini i compagni della direzione del Partito che con loro avevano vissuto l’angoscioso alternarsi di allarme e di speranze. Longo, Natta, Colombi, Lama erano presenti al momento della tragedia”.
“La mattina del 13 agosto 1964 – ricorderà anni dopo Nilde Jotti – Togliatti si sentiva affaticato, ma il pomeriggio volle andare lo stesso al campo dei pionieri di Artek. Ci andammo a piedi camminando per la pineta. Notai che era pallido, ma non mi parve in condizioni preoccupanti. Si sentì male durante lo spettacolo dei pionieri”.
L’annuncio della sua morte (l’agenzia di stampa Ansa diffonde così la notizia la notizia: «Con profondo dolore la segreteria del Pci annuncia la morte del compagno Palmiro Togliatti (1893-1964), avvenuta oggi a Jalta alle ore 13.20») farà il giro del mondo e sarà accolta con costernazione dal popolo comunista che il 25 agosto, giorno del funerale (GUARDA IL VIDEO), gli tributerà un saluto di massa, come aveva fatto qualche anno prima con Di Vittorio e farà esattamente venti anni dopo con Enrico Berlinguer.

Si calcola che almeno un milione di persone accompagnò in silenzio il feretro da Botteghe Oscure a piazza San Giovanni: sette anni dopo Renato Guttuso immortalerà nel celebre quadro di grandi dimensioni I funerali di Togliatti quel corteo e quella piazza (nel 1966 Pier Paolo Pasolini la racconterà nel suo Uccellacci e uccellini, l’ultimo film da protagonista interpretato da Totò).
E’ lo stesso Guttuso a raccontare la genesi dell’opera: «Cominciai col disegnare più volte il profilo di Togliatti. Qua il primo problema. Gli occhiali. Era difficile renderlo a tutti riconoscibile senza gli occhiali…. Circondai il profilo con un collage di fiori ritagliati da alcune riviste di floricultura. Poi cominciai a mettere, attorno a quel punto focale, i ritratti dei suoi compagni, quelli con i quali aveva avuto i più stretti rapporti di lavoro, nell’esilio, in Spagna, in Unione Sovietica. Tenendo conto dei rapporti con Togliatti e non della loro presenza effettiva ai funerali» (nella folla, rigorosamente in bianco e nero, si riconoscono infatti tra gli altri Lenin, Gramsci, Berlinguer – che proprio nel 1972, anno in cui Guttuso realizza l’opera, viene eletto segretario del Pci – Longo, Di Vittorio, Amendola, Pajetta, Ingrao, Natta, Nilde Iotti, papà Cervi, Dolores Ibarruri, Angela Davis, Stalin, Brezhnev e lo stesso artista auto immortalatosi accanto al fotografo Mario Carnicelli).
“Venne il momento della partenza del corteo – racconterà anni dopo Giorgio Amendola - Alla bara furono resi gli ultimi commossi saluti. Una donna inginocchiata continuò a pregare, quando già la salma era stata portata a braccia fuori dal palazzo. Quarantotto ore era continuata la lenta, ordinata, reverente sfilata. I comportamenti diversi indicavano la vastità del tributo reso da donne, fanciulli, uomini così diversi, per condizioni sociali, orientamenti politici e ideali e fedi religiose, eppure uniti in uno stesso cordoglio. Accanto al giovane operaio, ancora in tuta, dritto nel saluto proletario del pugno chiuso (ignaro, evidentemente, di quanto quel gesto fosse sgradito a Togliatti, che amava piuttosto la mano tesa, da amico ad amico), vi erano le donne e gli uomini che esprimevano, malgrado le vane scomuniche, il loro sentimento coi gesti naturali della religione cattolica, fino al bacio dato al drappo rosso o al nastro tricolore. E quanti bambini recati dai genitori a dare quel tributo, perché crescessero col ricordo di quel giorno, nel quale anch’essi avevano partecipato alla manifestazione nazionale che concludeva non solo la vita di un uomo, ma un grande periodo della storia nazionale […] Davanti alla salma di Togliatti, si era avuto l’incontro, da lui preparato, tra operai ed intellettuali, tra la gente semplice del lavoro e gli uomini della scienza e dell’arte, quell’unità della nazione che era stata lo scopo al quale aveva dedicato la sua vita, perché quella unione è la condizione dell’ascesa e del progresso dell’Italia verso il socialismo. La bara fu sollevata ed uscì alla grande luce del pomeriggio romano, nel contrasto acutissimo tra il silenzio della grande folla, rotto soltanto dai singhiozzi e dalle preghiere, e il giuoco violento dei colori, le rosse bandiere, i tricolori, le bianche camicie degli uomini e le vesti policrome delle donne. C’era anche il nero di un gruppo di suore. Il cielo, man mano che il corteo procedeva lento verso piazza San Giovanni, si tingeva di rosso, ed il verde scuro dei pini si stagliava netto. Roma si era tutta raccolta per salutare Togliatti. Dicemmo poi che eravamo un milione. Moltiplicata per cento e per mille era la stessa folla che era passata davanti alla salma di Togliatti, nell’atrio del palazzo di via delle Botteghe oscure, la stessa per comportamento e gesti naturali, con una più marcata affermazione regionale, da parte degli uomini e delle donne venuti dal Nord o dal Sud, dei modi con cui da sempre si esprime in ogni famiglia il dolore per la perdita di un padre. E questo era il sentimento che accomunava tutti, la coscienza di essere diventati orfani, di avere perso una guida ed una protezione”).
Nell’agosto del 1964 Nella Marcellino, storica dirigente della Cgil e del Pci, la più giovane deputata mai eletta in Parlamento, è in ferie con il marito in Crimea.
Su indicazione di Luigi Longo sarà proprio lei a trascrivere a macchina quello che diventerà uno dei documenti più famosi della storia d’Italia (“Longo mi chiamò e mi disse di andare da lui – racconta nella sua biografia Le tre vite di Nella, a cura di Maria Luisa Righi, edizioni Sipiel 2009. Mi consegnò il memoriale scritto a mano, col tipico inchiostro verde che Togliatti usava. Mi chiese di riprodurlo immediatamente a macchina. I sovietici mi accompagnarono in una lunga stanza e mi diedero una macchina da scrivere (una Underwood piuttosto vecchia con caratteri latini e cirillici)”.
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