Così chi urlava contro le poltrone
se le è spartite tutte
violando la prassi democratica
“Non abbiamo a cuore le poltrone ma che venga fatto ciò che i cittadini aspettano da trent’anni”. Così scriveva Luigi Di Maio, leader pentastellato e premier in pectore (almeno nel suo) sul suo blog l’11 marzo scorso. Ci deve aver ripensato, anche perché l’appetito vien mangiando. Infatti a meno di venti giorni da quella dichiarazione, a guardare i risultati delle votazioni per nominare i vertici di Senato e Camera appare evidente che i grillini sono riusciti a far man bassa, anche a dispetto degli accordi fatti più o meno sotto banco con le forze nemiche-amiche, di quelle poltrone di vertice su cui si siederanno, tra Palazzo Madama e Montecitorio, i presidenti e altri trenta ai quali sarà affidata nelle aule e non solo la gestione diretta e delicata della diciottesima legislatura. E hanno compiuto un percorso di spartizione del potere con la disinvoltura di quei navigati esponenti della Casta che tanto hanno criticato e giudicato da quando hanno fatto il loro esordio sulla scena politica. Da comprimari a protagonisti, forti di un voto popolare abilmente strumentalizzato, i Di Maio boys stanno provando con molto gusto il piacere di stare in poltrona e non su uno strapuntino pur se nobile.
Aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più, allora. I grillini eletti sono stati tanti, la giacchetta di Di Maio ha perso la linea tanto è stata tirata e lui, in fondo, ha preferito avere generali fedeli schierati per accaparrarsi la gestione del Parlamento dato che la questione di Palazzo Chigi, per fortuna del Paese, non è nella mani dei leader di Cinquestelle e Lega che una volta si baciano politicamente parlando anche se il murales testimonial è stato cancellato, e subito dopo si attaccano senza esclusione di colpi. Ma in quelle di un uomo saggio e competente qual è il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che dal 4 aprile comincerà le consultazioni per cercare di trovare una soluzione
Dunque al Senato e a Montecitorio c’è stata una spartizione tra le cosiddette forze che hanno vinto le elezioni. Molte poltrone per due. E nemmeno nel rispetto degli accordi, perché i grillini hanno fino all’ultimo forzato per agguantarne quante più possibile.
Ma il vero strappo che è stato compiuto rispetto a qualunque dialettica democratica è stato il quasi totale azzeramento della rappresentanza delle minoranze nei vertici istituzionali, a cominciare dal Pd che nonostante la sconfitta resta pure sempre il secondo partito. Che è stato evidentemente “punito” dai due che stanno dando le carte per aver scelto di dar seguito alle indicazioni degli elettori e quindi di stare all’opposizione di un possibile governo sia di centrodestra che grillino. D’altra parte la giustificazione ufficiale di Di Maio è stata proprio che, non essendoci ancora certezza sulla collocazione del Pd, non c’era altra cosa da fare che spartire il potere con chi già ci sta.
Non era mai successo che l’opposizione non avesse un proprio rappresentante tra i questori, tre al Senato e tre alla Camera, e i sedici segretari d’aula equamente divisi. Non era mai successo che il voto al Senato e alla Camera si svolgesse sfalsato per verificare la tenuta degli accordi tra i due potenziali leader in totale disprezzo della democrazia parlamentare e non solo. Così al Pd sono andate solo due vicepresidenze, alla Camera Ettore Rosato e al Senato Anna Rossomando, di area orlandiana, il minimo. I Cinquestelle che di Forza Italia non si fidano, hanno voluto anche un vice di Fico creando non pochi problemi a Matteo Salvini che se l’è dovuta vedere con una furente Giorgia Meloni che ha visto sfilare la poltrona al candidato del suo partito.
Il che significa che la Camera sarà guidata da un presidente, un vice ed anche un questore, anziano in quanto il più votato, pentastellati che provvederanno a dare uno scontato indirizzo all’ufficio di presidenza essendo quest’ultimo un ruolo vitale nella gestione di finanze e disciplina. Con questo schieramento “i vitalizi non hanno scampo” ha commentato un soddisfatto Di Maio da cui mezzo Paese si aspetta il reddito di cittadinanza. Per ora la parola d’ordine è glissare sull’argomento. Meglio puntare sulla questione dei privilegi anche se l’idea di goderne in prima persona comincia già a piacere a molti. Non riuscire a fare un governo nel mese di aprile cancellerebbe la possibilità di un ritorno alle urne in giugno. Mesi guadagnati, nel più concreto dei termini.
A gestire saranno dunque al Senato una presidente di Forza Italia, quattro vice (Pd, Lega, Fratelli d’Italia, Cinquestelle). A questi ultimi vanno aggiunti anche un questore e quattro segretari d’aula contro i due di Forza Italia e i due della Lega. Alla Camera presidente grillino, quattro vice (Fi, Lega, M5S, Pd). A vigilare un grillino, un esponete di Forza Italia e uno di Fratelli d’Italia. Per i segretari uno a Forza Italia, tre alla Lega, quattro ai Cinquestelle. Poiché il regolamento prevede che ci sia un rappresentante del Gruppo misto per i 3 aprile è stata calendarizzata una votazione suppletiva. Fuori comunque il Pd. Resta aperta la questione delle commissioni di vigilanza che, se lo stile non cambia, potrebbe essere un altro campo di battaglia come le prossime nomine dei vertici dell’autorità di regolazione Energia, Reti e Ambienti, e poi la Saipem, la Cassa depositi e prestiti, l’Eur Spa, l’Invimit Sgr, la Rai, la Sogei. Il tutto entro luglio.
Ma perché tante storie sugli uffici di presidenza, si è affrettato a intervenire un finto ingenuo Di Maio. “I posti non sono poltrone dato che tutti rinunceranno al doppio stipendio, all’auto blu, al vitalizio. Elimineremo gli sprechi e aboliremo i vitalizi”. Per farlo meglio sedersi in tanti attorno ad un tavolo tanto disprezzato. Occupando quante più poltrone è possibile e mostrando di ignorare che le regole di civile convivenza democratica e di confronto debbono essere sempre rispettate, tanto più se si sono presi tanti voti.
In attesa degli eventi si può già verificare il potere miracoloso di una poltrona. Basta guardare la foto istituzionale della barricadera Paola Taverna – grillina d’assalto, inseparabile dalla gomma da masticare, dai capelli scompigliati, dall’atteggiamento sfrontato, pronta all’assalto dai banchi del Senato verso qualunque avversario, preferibilmente il Pd – che non appena è stata eletta vicepresidente a Palazzo Madama ha cambiato atteggiamento e look. Appare dirigenziale e impegnata, capelli in ordine, camicia di seta, raffinata giacca rossa. Appare la senatrice alla scrivania istituzionale, libro in mano, assorta. Alle spalle in bella vista la bandiera dell’Europa…I tempi cambiano.
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