Corruzione, il problema
è il sistema
E noi siamo assolti?
Gli appassionati dell’eterna Tangentopoli italiana (non è mai finita, prendete nota…) sono concentrati sul nuovo caso: quello che sta angustiando la maggioranza di centrodestra al governo in Lombardia. Tutto è iniziato – o meglio, è diventato di dominio pubblico – il 7 maggio scorso, quando sono state eseguite 43 ordinanze di custodia nell’ambito di un’inchiesta che ipotizza un giro di tangenti. Coinvolge politici e imprenditori. Incluse persone di spicco del centrodestra lombardo, tra cui Pietro Tatarella, consigliere comunale a Milano e candidato di Forza Italia alle Europee, e il sottosegretario allo Sviluppo area Expò della Regione Lombardia, Fabio Altitonante. In totale sono un centinaio gli indagati per associazione a delinquere e corruzione.
L’altro ieri è emerso che sono sotto inchiesta, per finanziamento illecito, anche l’eurodeputata di FI Lara Comi e il presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti. Manco a farlo apposta, da poche ore il sindaco di Legnano, Gianbattista Fratus (Lega), è tra gli arrestati, con l’accusa di turbata libertà degli incanti e corruzione elettorale, di un’altra indagine, avviata dalla Procura di Busto Arsizio (Varese); con lui ci sono l’assessore ai Lavori pubblici Chiara Lazzarini e il vicesindaco Maurizio Cozzi (entrambi di Forza Italia).
Sarebbe facile adesso sparare a zero contro la coalizione salvinian-berlusconiana che governa la Regione Lombardia. Il fatto è che, appunto, nessuno può riposare sugli allori del giustizialismo, visto che il fantasma della corruzione e dintorni si aggira per l’Italia con testardaggine e senza interruzione. Solo negli ultimi mesi sono esplosi il caso calabrese, quello umbro, quello romano, quello a sfondo mafioso che ha coinvolto il governo con le indagini su Armando Siri, da poco diventato ex sottosegretario del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nel Governo Conte. Non c’è forza politica – o quasi – che non sia stata sfiorata, incluso il Movimento 5 Stelle.
Potremmo andare indietro nel tempo e arrivare – senza soluzione di continuità – fino agli anni Novanta di Mani Pulite, quelli in cui il vecchio bubbone esplose; ma anche prima – nonostante insabbiamenti e impunità – le mazzette volavano, semmai soltanto qualcuna arrivava davanti ai magistrati. Diciamo che c’è continuità nel malaffare perlomeno dagli anni Settanta.
Quindi non si tratta di cercare il “cattivo” di turno, a seconda delle nostre simpatie o antipatie politiche. Si deve ragionare invece sul “sistema Italia”. Considerando che – 27 anni dopo l’arresto di Mario Chiesa a Milano – non è cambiato granché, nonostante innumerevoli cambi di simboli e casacche.
All’epoca, politici, imprenditori, burocrati e faccendieri furono risucchiati nel tritacarne giudiziario, grazie a una crisi strutturale del sistema dei partiti, divenuto incapace di proteggersi e vittima prima di tutto di se stesso. Tuttavia l’occasione fa l’uomo ladro oggi come allora, perché la presunzione dell’impunità è quella che spinge qualsiasi criminale o aspirante criminale a non temere di finire nei guai.
Ora una domanda è d’obbligo. I cittadini, gli elettori, insomma… noi: ecco, noi possiamo veramente assolverci? Possiamo accontentarci ancora della tiritera secondo la quale va così a causa del fatto che troppi politici e burocrati nostrani – grandi, medi e piccoli – appaiono sensibili al fascino della bustarella? Perché non prendere in considerazione il fatto che quei politici, da noi eletti, sono l’espressione di una vocazione, congenita del “sistema Italia”, all’illegalità nei confronti del bene comune? Perché non ammettere che quei politici siamo noi?
Non è una considerazione masochistica, né il tentativo di assolvere tutti diluendo la pozione velenosa: la responsabilità penale è personale, chi verrà condannato in via definitiva dovrà scontare la sua pena. Però in Italia davvero è il momento di arrivare a una riflessione di massa sul nostro sistema.
Trent’anni fa il professor Mario Centorrino, siciliano, scrisse un libro purtroppo poco noto: “L’economia ‘cattiva” del Mezzogiorno”. Sosteneva che certamente la criminalità organizzata controllava con la sua economia malvagia vaste aree del Sud Italia (oggi non solo quelle, è definitivamente multiregionale e multinazionale). Però c’era (e c’è) anche tante gente “per bene” che trova conveniente, sul fronte del rispetto elastico delle regole, assecondarla, coltivando un’economia cattiva complementare a quella malvagia, dalle piccole scelte a quelle più impegnative, dalla micromazzetta alla mega evasione fiscale.
Quella riflessione valeva e vale dalle Alpi alla Sicilia anche sul fronte della corruzione. Se qualcuno pensa che coloro che entrano nei ranghi della nostra classe dirigente possano emanciparsi tutti da soli, a prescindere dalla società che li esprime, si sbaglia di grosso. È il caso di dire che nelle stanze dei bottoni e dei bottoncini abbiamo messo chi ci meritiamo.
Enrico Berlinguer nel 1981 – durante la sua famosa intervista – disse che la “questione morale” non è solo un problema di onestà della classe dirigente; bisogna anche difendere le istituzioni dalla partitocrazia che le ha invase, per garantire che possano funzionare in modo equilibrato e lungimirante senza diventare fotocopie dei partiti, sempre in balìa della scadenze elettorali e della caccia al consenso. Berlinguer all’epoca non disse che il Pci, di cui era segretario, era rimasto immune. E infatti – per lo meno a livello locale, visto che non era al governo nazionale – anche il Pci non si poteva assolvere.
Di certo, ai partiti (o ai sedicenti movimenti, che sono in realtà partiti come gli altri, a volte pure più centralisti) quel potere invasivo lo diamo noi. E purtroppo la catena di casi di corruzione che continua a emergere svela che la questione morale è più che mai attuale: le istituzioni continuano ad essere piegate alle esigenze dei partiti, anche a quelli che oggi sono al governo.
Sarebbe davvero l’ennesima sconfitta se ciascuno di noi non si chiedesse quanto ha contribuito, più o meno consapevolmente, a creare nel corso degli anni questo sistema, scegliendo le persone da mandare al potere. Ai tempi di Mani Pulite, di certo, non ci siamo sufficientemente interrogati. Oggi ne stiamo ancora pagando le conseguenze.
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