Corrisponde al vero
quel video Sea Watch
su mancato soccorso?

Sul mio cellulare ho ancora il numero dell’ufficio stampa della Marina Militare. Lo componevo spesso, parecchi mesi fa, per farmi raccontare qualche dettaglio delle operazioni di Mare Nostrum. Mi rispondevano persone gentili e competenti, che mi raccontavano come, dove e quando la Marina era intervenuta, dove avevano sbarcato i naufraghi, come funzionava, già a bordo, il triage sanitario per prevenire eventuali infezioni (allora erano molto diffuse le fake news sui migranti che portavano ogni tipo di malattie).

Non ho avuto il coraggio di comporlo, quel numero, quando ieri mattina ho letto la denuncia della ONG Sea Watch secondo la quale una nave militare italiana non stava intervenendo per salvare le persone a bordo di un gommone che affondava carico di profughi: almeno un centinaio, tra cui 17 donne e più di venti bambini e una bambina di cinque anni morta. Avevo paura di quello che avrebbero potuto dirmi. Avevo paura anche del possibile imbarazzo di chi mi avrebbe risposto.

Poi il pattugliatore Cigala Fulgosi, ho letto, è arrivato sul posto, ha imbarcato i naufraghi e ha potuto accertare che a bordo, per fortuna, non c’era alcuna bambina morta. Ho visto però le immagini girate dagli operatori della Sea Watch il 23 maggio. Si distinguono molte persone su un altro gommone che si sta sgonfiando e molte persone in mare. Il video è confuso ma molto esplicito: indicata da un cerchietto, una di quelle persone si agita, cerca di restare a galla, poi non si vede più. Dov’era prima c’è solo acqua. I volontari della Sea Watch sostengono che avevano lanciato l’allarme, che una nave della Marina Militare italiana era abbastanza vicina per intervenire ma non l’ha fatto. Nel comunicato diffuso dal ministero di quel barcone non si fa cenno e quindi il dubbio è lecito. Mezzi della Marina militare italiana erano stati in condizione di intervenire? Se sì, perché non lo avevano fatto?

Non comporrò il numero dell’ufficio stampa della Marina. Ma vorrei tantissimo che qualcuno smentisse Sea Watch, spiegasse che no, le cose non sono andate proprio così. Che si sono sbagliati, che hanno esagerato. Abbiamo grande stima per quelli della Sea Watch, come delle altre ONG che si ostinano nonostante tutto a fare il loro dovere nei mari a sud dell’Italia dove la crudeltà è andata al governo, ma vorremmo che stavolta avessero torto. Che qualcuno ce lo dimostrasse e dimostrasse che invece la Marina Militare italiana interviene sempre e comunque quando ci sono esseri umani cui salvare la vita. Come ha fatto ieri (forse con ritardo ma lo ha fatto) e come ha fatto una ventina di giorni fa, dandone conto nel comunicato stampa numero 48: trentasei persone salvate, sempre dalla Cigala Fulgosi, da un gommone che affondava a 75 miglia dalla costa libica.

Non sappiamo che cosa ne sarà dei naufraghi raccolti dalla Cigala Fulgosi, né di quelli salvati venti giorni fa. Non sappiamo quali disposizioni siano state date, lungo la linea di comando, ai comandanti delle nostre navi militari, né come andrà in scena, stavolta, l’osceno balletto su chi se li prende, i profughi salvati. Ieri sera è cominciato un triste tira-e-molla tra Salvini che pretende che la Cigala Fulgosi porti i profughi a Genova, costringendoli a molte ore di navigazione nel mare in tempesta, e la ministra della Difesa Trenta che, più ragionevolmente, indica il porto di Augusta, in Sicilia.

Vedremo. Intanto va chiarito, e subito, il dubbio atroce sollevato da Sea Watch. Perché tutti debbono ricordare che esiste un diritto internazionale e diverse convenzioni che obbligano i comandanti delle navi, civili e militari, a intervenire per salvare persone che rischiano la morte in mare. È un elementare dovere morale ma è anche una legge scritta sui codici e sui trattati che l’Italia è tenuta a rispettare se non vuole essere isolata e sanzionata dalla comunità internazionale. I nostri attuali governanti possono pure farsi beffe dell’Onu e dei trattati, ma si ricordino che perfino durante la seconda guerra mondiale gli equipaggi delle navi soccorrevano i naufraghi delle unità nemiche affondate. Ci fu chi non lo fece, ma alla fine del conflitto fu processato per crimini di guerra.