Un’Europa sociale contro il sovranismo
La piazza di Milano, che canta bella ciao contro il “ministro dell’inferno”, indica che sta crescendo la consapevolezza (di massa?) delle grandi insidie del governo del cambiamento. E’ stato Weber a rimarcare il carattere tragico che sempre, nelle fasi decisive, tallona l’agire politico. In un tempo senza più memoria, che coltiva l’effimera leggerezza della politica ridotta a comunicazione banale, questo tratto acceso della lotta che può sconfinare nel tragico è stato rimosso. Eppure il significato costoso delle scelte cruciali non può essere cancellato a piacere. E’ certo un paradosso che la briga di resuscitare la percezione del tragico, come risvolto della politica nei tempi di grande svolta, sia toccata a uno statista che viene chiamato “Gigino” per esorcizzarne la carica distruttiva.
Con il volto leggero di un interprete della commedia dell’arte cui un paese molto sventurato ha affidato il compito di governo, il “capo politico” Di Maio ha rispolverato il senso cruento delle scelte e dato appuntamento al tragico che a lungo è stato solo accantonato nella sfera pubblica europea. Si è infatti augurato un azzeramento delle classi politiche europee, da realizzare grazie ad una generale vittoria delle formazioni populiste. L’autocrate magiaro Orban, ricevuto in prefettura a Milano dall’altro vice dell’esecutivo, è solo l’antipasto dei nuovi assi sovranisti in gestazione. La solida alleanza gialloverde aspetta come una liberazione epocale la sconfitta delle forze democratiche da favorire ovunque, anche in Germania.
Lo schema accarezzato è quello del sovranismo inteso come recupero della decisione sui confini e sui porti, della libertà del deficit riacciuffata contro il tallone teutonico e le sue “regolette” economico-finanziarie. Evocando il trionfo della destra radicale, con venature neonaziste, di Alternativa per la Germania, Di Maio abbandona l’età dell’innocenza e con la sua allusione a un’Europa tutta populista dovrebbe ridestare dal profondo sonno dogmatico gli elettori democratici e persino di sinistra (addirittura delle regioni rosse, culla della rivolta antifascista) che hanno fatto tabula rasa di simboli, valori, idealità, interessi, storia.
Un successo della ultradestra in Germania avrebbe un impatto sicuramente tragico sulle gracili democrazie del vecchio continente. Il ritorno al Novecento nero e illiberale, quello cupo dei miti del sangue e della terra, è lo scenario che la coalizione gialloverde favorisce con la mistica del sovranismo come pratica ostile ai diritti, alle aperture universalistiche del costituzionalismo europeo. I limiti reali del progetto europeo non si superano certo con il nativismo, utilizzato come maschera dalle postmoderne forze xenofobe che non a caso transitano con disinvoltura dal vecchio motto secessionista “prima i Padani” all’odierno grido ingannevole “prima gli italiani”.
Già Gramsci aveva intuito la tendenza verso proiezioni politiche oltrestatuali come una realizzazione istituzionale richiesta dagli sviluppi delle forze produttive, dalle reti culturali, dagli intrecci di esperienze di vita per cui “la personalità nazionale è legata ai rapporti internazionali”. Nei Quaderni egli accennava alla maturazione di un carattere europeo che incide sulle forme della cultura politica. “Esiste oggi una coscienza culturale europea ed esiste una serie di manifestazioni di intellettuali e uomini politici che sostengono la necessità di una unione europea: si può anche dire che il processo storico tende a questa unione e che esistono molte forze materiali che solo in questa unione potranno svilupparsi: se fra x anni questa unione sarà realizzata la parola nazionalismo avrà lo stesso valore archeologico che l’attuale municipalismo”.
Quando un’ipotesi politica di aggregazione oltrenazionale si interrompe traumaticamente, come vorrebbe il governo del cambiamento, è una pura illusione pensare di poter tornare indietro. Dopo il fallimento, non si rintraccia la sovranità e i diritti del costituzionalismo smarrito. Non si retrocede, operando come gamberi felici, alle belle condizioni dei trent’anni gloriosi cancellando i processi di internazionalizzazione dell’economia e globalizzazione dei mercati. Spezzando i livelli di integrazione giuridico-istituzionale-economico-culturale si evocano cupi fantasmi. Sulle macerie dell’odierna Europa, non si superano il deficit democratico, le chiusure sociali, le follie nascoste nei Trattati, l’asimmetria del Berlino consensus, si scatenano invece le furie distruttive di inquietanti attori che si impongono con scelte drammatiche. Un’Europa sociale e democratica, non il sovranismo a sfondo nero delle piccole patrie, è il progetto di una sinistra autonoma e critica verso le ristrettezze tecnocratiche e le distruttive chiusure sociali del liberismo.
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