Il premier Conte meridionale da cortile

Sono nato a Bari, ma mio padre era di Taranto e mio nonno di Ruvo di Puglia. Tutta la mia famiglia è pugliese da sempre, forse solo negli anni Sessanta alcuni andarono a Milano (i pugliesi vanno a Milano) per cercare lavoro.
Questa breve nota biografica per dire che, pur vivendo lontano dalla Puglia dal 1978, tutto ciò che avviene, persone e fatti, nella mia regione d’origine mi commuove. Il massimo l’ho raggiunto con Nicola Di Bari che aveva quel cognome lì ed era di Zapponeta, provincia di Foggia.


La politica me l’ha fatta visitare tutta, la mia regione. Non c’è paesino in cui non sia andato. Se c’era una sezione del Pci, o dei partiti venuti dopo, io prima o poi capitavo lì. Generalmente lontano da Bari, città mai amata, e preferibilmente nel foggiano, luogo di gente dalla scorza dura e il cuore d’oro.
Insomma se vedo un pugliese doc o se mi accorgo che un tassista di Milano, rompendo il suo stretto milanese, ha detto la “o” in un certo modo, mi commuovo. Non mi è capitato invece per Conte, il premier della destra.
C’era una definizione che mi ha sempre colpito di Malcom X che nella sua biografia parlava della gente di colore che si era adattata al regime dei bianchi, come “neri da cortile”. Ecco Conte mi pare un “meridionale da cortile”. Lui appartiene al secondo dei due stereotipi. Il primo è quello del meridionale chiassoso, focoso, ingestibile. Il secondo è quello del meridionale servizievole, quello che crede di parlare come fosse nato a un metro dall’Arno, che non resiste di fronte alle lusinghe del potere anche quando nell’ inseguirle fa una figura un po’ meschina.
La frase rivolta a Di Maio “ Questo lo posso dire” e l’accettazione del secco “No” da parte di quest’ultimo conferma la mia tesi del meridionale da cortile, ossequioso e cortigiano.


Per carità, ha una funzione sociale anche questo tipo di meridionale. Un tempo erano loro e non le badanti rumene a spicciare casa negli appartamenti dei ricchi del Nord oppure facevano piccoli servizi, la spesa, il rubinetto che gocciola, la sedia sciancata.
La storia di Conte avrebbe potuto essere una cosa come il “sogno americano”. Nato in un paesino del foggiano, cattolicissimo e studioso, scuole cattolicissime anche a Roma poi l’incontro con il tutor, l’avvocatura e la carriera universitaria. Ci avesse messo un po’ di “cazzimma” sarebbe il meridionale perfetto, quello che dice: “Visto che ce la possiamo fare?”.
Invece così è un servitor di due padroni che i due padroni mostrano agli invitati dicendo sottovoce: “E’ così rispettoso”. E lui sorride contento.
Ecco perché la sua pugliesità mi pare un furto.