Congo. E capisci
un po’ d’Africa

Come descrivere il Congo alla vigilia della Terza Repubblica? Le statistiche, le percentuali e le cifre sono carenti. Il mondo si rivela attraverso briciole e macerie. Come descrivere questo territorio sconfinato? Si potrebbe dire che era un paese fertile dove tanti mangiavano soltanto una volta ogni due giorni? Che a molti venivano le emorroidi a causa di una dieta monotona con troppa manioca? Che le persone non avevano i soldi per comprarsi una pomata contro le emorroidi, ammesso che ci fosse, e si accontentavano di spalmarci sopra dentifricio d’importazione a buon mercato? Sì, me l’hanno raccontato amici fidati. Curavano le ferite con il liquido dei freni e le bruciature con le secrezioni femminili. Le scarpe le lucidavano con un preservativo gratuito, il lubrificante faceva brillare il cuoio.

Come descrivere un paese? Un paese che non era uno stato, ma che contava più di mezzo milione di impiegati, donne e uomini che non andavano in pensione perché non esisteva e che quindi si recavano in ufficio dove, tra scaffali traboccanti di fascicoli ammuffiti e mangiati dalle termiti, speravano di ricevere un salario minimo e sognavano un paese anche solo lontanamente amministrato. Con una scrittura paziente riempivano scartoffie senza fine, nutrivano grande deferenza per la gerarchia burocratica, perché il fatto che uno stato sia virtuale non lo rende irreale, anzi. A Bunia una lettera finì su dodici scrivanie prima di ottenere risposta. A Boma ho incontrato un bibliotecario comunale senza biblioteca.

Nel giugno del 2007 ho visto che l’ospedale generale di Lumumbashi aveva appena ricevuto due nuovissime camere mortuarie e un camion per prelevare e contenere i cadaveri. Solo che l’ospedale, il secondo più grande del paese, non riceveva una goccia d’acqua da quattro anni. I pazienti che si recavano in bagno dovevano farsi largo tra quattro centimetri di escrementi. L’ho visto con i miei occhi.

Le elezioni erano costate una somma indicibile e avevano suscitato aspettative enormi, ma il risultato si rivelò ben presto assai magro. Secondo antiche consuetudini, i parlamentari aumentarono in maniera consistente il loro stipendio e gratificarono se stessi e i loro segretari con una Nissan Patrol nuova fiammante; fu uno dei pochi punti in agenda su cui praticamente non vi furono divergenze di opinione. “Non lo capisco”, mi ha detto una volta un kinois *, “durante la campagna tutti quei candidati ti guardavano dritto negli occhi, e la prima cosa che fanno una volta eletti è andarsene in giro con una 4 x 4 per non vederci più”. Il vero potere della Terza Repubblica non si fonda sulle istituzioni democratiche del paese, ma su alcuni intimi di Kabila, tra cui sua madre e la sorella gemella.

Barlumi di speranza? Sì, qualcuno. Nel 2009 il Pnl pro capite ammontava a duecento dollari, valore significativamente superiore agli ottanta dollari del 2000, ma ancora ben lontano dai 450 dollari del 1960. L’indice di sviluppo umano, che le Nazioni Unite calcolano ogni anno per tutti i paesi, ci fornisce un quadro migliore del benessere dei cittadini rispetto al Pnl pro capite della popolazione, poiché tiene conto del tasso di alfabetizzazione, dell’educazione, della sanità e dell’aspettativa di vita. Ebbene, nel 2006 il Congo si ritrovò dieci posti sopra l’ultima posizione nella classifica mondiale, nel 2009 era sei posti sopra l’ultimo gradino. Chi vuole avviare un’attività in Congo deve calcolare che perderà 149 giorni lavorativi in pratiche amministrative, per ottenere un permesso edilizio si arriva facilmente a 322. In media si pagano le tasse trenta volte all’anno. L’imposta sugli utili ammonta a quasi il 60 per cento, soldi che il cittadino congolese non incontra mai sulla sua strada. C’è qualcosa, in compenso, che il congolese medio incontra di continuo: la malattia. Il tasso di mortalità infantile è uno dei più alti al mondo: 161 bambini su 1000 non raggiungono i cinque anni di età. Un bambino su tre al di sotto dei cinque anni ha un peso insufficiente. L’aspettativa di vita alla nascita è di quarantasei anni. All’incirca il 30 per cento della popolazione è analfabeta, il 50 per cento dei bambini non va alla scuola elementare, il 54 per cento della popolazione non ha accesso all’acqua potabile.

Dei sessanta contratti minerari conclusi con imprese internazionali come Anvil Mining, De Beers, Bhp Billiton, AngloGold Kilo e Tenke Fungureme Mining, che il Parlamento analizzò sotto Kamerhe **, nemmeno uno risultò in regola. L’azienda di stato Gécamines versò nel 2008 un contributo di soli 92 milioni di dollari, invece dei possibili 450. Le miniere di diamanti di Bakwanga e le miniere d’oro di Kilo-Moto di fatto non fruttarono niente. Ma rabbia? Resistenza morale? Furore? Sì, ci furono di tanto in tanto scioperi da parte di impiegati e di insegnanti, ma il congolese comune si rassegnò alla sua sorte e sembrò quasi vergognarsi della speranza cullata durante l’avvicinamento alle elezioni. “Ça va un peu”, risponde quando gli si chiede come va.

(David Van Reybrouck, “Congo”, 2010)