Israele-Palestina: la soluzione passa solo dal riconoscimento dell’altro
Chiunque, giovane o anziano, uomo o donna, avesse messo piede nella moschea di Al-Aqsa nei giorni scorsi si è visto recapitare un sms sul cellulare. “Sei stato identificato tra i partecipanti alle azioni violente, dovrai risponderne. I servizi segreti”. Fossero davvero i servizi israeliani i mittenti del messaggio o meno, conclude la Cnn, è un segnale di chi da quelle parti tiene le briglie del controllo sulla popolazione. Controllo tecnologico, militare, sociale. E se è una guerra quella che gli scontri degli ultimi giorni annunciano, e che le Nazioni Unite inutilmente sperano di scongiurare con inviti alla calma, sarà l’ennesimo conflitto asimmetrico. Mille razzi lanciati da Hamas sul territorio israeliano, per la gran parte – l’85% – intercettati dal sistema anti missile Iron Dome, quando non sono caduti negli stessi territori palestinesi. Dall’altra parte droni teleguidati e bombardamenti che stavolta vanno sotto il nome di “Guardiano delle mura”: operazione difensiva, si dice. Il bilancio per ora è di 56 morti sul fronte palestinese (civili, per lo più, ma ci sarebbero anche figure di alto profilo di Hamas) e di sei israeliani. Anche qui a soffrire sono soprattutto civili, mentre le sirene suonano e la paura torna pane quotidiano.
Asimmetrie evidenti
Israele ha il diritto di difendersi. Lo ribadisce l’amministrazione americana, che subisce questa escalation di cui avrebbe fatto volentieri a meno, mentre Biden si sta occupando di altri dossier (Cina, Pacifico, oltre al Covid). Silenziato dai social, Trump coglie l’occasione per ricordare quando tutto fosse più bello quando c’era lui, che ha soffiato sulle braci mai spente del conflitto israelo-palestinese indicando come soluzione definitiva il riconoscimento tal quale delle pretese tradizionali della destra israeliana – Gerusalemme capitale e il diritto di espandere le colonie a piacimento: i presupposti per un diktat non per una trattativa di pace. Biden ha accennato a riprendere in mano la politica dei due Stati, un suo portavoce ha ricordato che entrambe le parti, israeliani e palestinesi “meritano in egual misura libertà, sicurezza, dignità e prosperità”. L’Europa più o meno tace, l’Onu invita alla de-escalation.
Israele ha il diritto di difendersi e non ha mai esitato a farlo. Ma anche i palestinesi, doppiamente vittime di una condizione di apartheid, di continue violazioni dei diritti umani e di una leadership sbiadita o autoreferenziale. Vale la pena ricordare che l’innesco degli scontri di questi ultimi giorni ha preso il via nei provvedimenti di sfratto di famiglie palestinesi da Gerusalemme est, in nome di una legge a senso unico che riconosce il diritto degli israeliani di far ritorno nelle proprietà vantate prima del ’48 ma che non dà pari riconoscimento ai tanti arabi cacciati dai loro territori, case, campi, nei conflitti che si sono succeduti nel tempo. Asimmetria evidente, come quella che in questi giorni limitava i festeggiamenti per la fine del Ramadan causa pandemia, ma al tempo stesso consentiva ai manifestanti delle destre di sfilare invocando “morte agli arabi”. E se ora gli arabi israeliani si ribellano e nella città di Lod il sindaco teme la guerra civile forse – forse – è un sintomo di quanto quella asimmetria abbia logorato le possibilità di convivenza. I diritti o sono per tutti o sono discriminazione.
Riconoscimento
Missili e bombe non hanno portato nessuna soluzione, finora. Semmai incancrenito meccanismi che replicano se stessi e lo stesso è destinato a ripetersi ora. Netanyahu, premier dimezzato dall’impossibilità di trovare una maggioranza, nonostante la ripetizione ad oltranza di elezioni inconcludenti, con questa ennesima operazione militare troverà forse il modo di restare a galla, magari con un governo di unità nazionale che scongiuri un esecutivo alternativo e per lui il rischio di dover rispondere delle sue pendenze penali. Sull’altro lato del muro, Hamas, con la sua raffica di razzi, rinverdisce il suo ruolo di difensore dei diritti palestinesi appannato da una realtà frustrante e senza vie d’uscita. E l’Anp di Abbas conferma la sua inutilità, ma nel continuo rinvio di consultazioni elettorali trova una sua ragione di restare dov’è, a un punto morto retribuito.
E dunque, mentre gli scontri si intensificano e sale la tensione, mentre Erdogan si consulta con Putin e avverte che sarebbe ora che qualcuno desse una lezione ad Israele con il rischio di allargare a dismisura il conflitto, bisognerebbe avere l’onestà di dire che il diritto ad esistere non è prerogativa degli uni ai danni degli altri e che “l’unica democrazia del Medio Oriente” deve guardarsi allo specchio e riconoscere nei palestinesi quello che gli ebrei sono stati in altri luoghi, in altre epoche. La ricerca della pace può ripartire solo da qui: dal riconoscimento dell’altro.
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati