Concessioni balneari “perenni”: l’ultimo no dell’Europa all’Italia
Game over (Rampelli permettendo l’inglese): i giochi senza frontiere della destra sulle concessioni balneari sono arrivati al capolinea. Oltre il pronunciamento della Corte di giustizia dell’Unione europea c’è solo l’abisso dei mari italici che inghiottirà, a seconda della decisione del governo, o gli ombrelloni dei padroni di fatto della spiaggia o i soldi dei contribuenti italiani.
Una terza via italiana alla direttiva servizi “Bolkestein” non esiste e l’arenile demaniale non può essere assegnato in modo diretto e perenne com’era diventato d’uso attraverso uno stiracchiamento del diritto italiano che per l’Unione Europea è oramai intollerabile.
Il pronunciamento della Corte di giustizia
In sostanza il governo deve finalmente sbloccare la partita delle cosiddette “evidenze pubbliche”, ovvero gare d’appalto che con procedure trasparenti assegnino le circa 6 mila concessioni italiane a chi ha titoli e competenze per la migliore gestione possibile insieme ad un’offerta economica congrua. Per il diritto comunitario si fa così quando i beni sono limitati e comuni.
“Le concessioni di occupazione delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente“, ha scritto la Corte, che ha sede in Lussemburgo, in un pronunciamento per altro scontato che fa seguito ad un suo analogo precedente pronunciamento e a innumerevoli interventi della giustizia amministrativa italiana. Per la destra, che ha sempre coccolato tutti i concessionari come “cosa sua”, è un bel problema.
I balneari non sono tantissimi, in realtà, ma uniti ai taxisti e agli ambulanti fanno una massa critica determinata a non mollare quel che la politica gli ha affidato in tempi lontanissimi, a condizioni ultra vantaggiose. Che i canoni demaniali italiani siano ridicoli lo ha candidamente ammesso Flavio Briatore, titolare del più grande lido della Versilia (il Twiga di Forte dei Marmi) per il quale paga 17.600 euro l’anno.
La Corte ha stabilito che “i giudici nazionali e le autorità amministrative [italiane] sono tenuti ad applicare le norme pertinenti” del diritto europeo, “disapplicando le disposizioni nazionali non conformi”.
Smontate le previsioni del decreto “Milleproroghe”
In pratica la questione non è più neanche politica, e la Corte in sostanza si rivolge ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni ricordando loro che il diritto comunitario è sovra ordinato rispetto ai diritti nazionali. L’ultima disposizione, in ordine di tempo, che va “disapplicata” è il decreto “Milleproroghe” del governo Meloni del 21 dicembre 2022, convertito in legge il 23 febbraio e sul quale il presidente della Repubblica aveva rilevato “profili di incompatibilità con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali”.
Il Milleproroghe ha stabilito entro il 27 luglio 2023 la delega al governo per realizzare la mappatura delle concessioni esistenti e bloccato le gare, prorogato la validità delle concessioni fino al 31 dicembre 2024 e istituito un tavolo tecnico con compiti di consulenza e di indirizzo sulla materia. In caso di «ragioni oggettive» che impediscano la conclusione delle gare entro il 31 dicembre 2024, il Milleproroghe ha previsto che questa scadenza potrà slittare alla fine del 2025.
Si tratta di una tempistica chiaramente dilatoria (che guarda alle elezioni Europee del 2024), crollata sotto le bordate dei giudici europei. Se il governo Meloni volesse mantenere quelle scadenze esporrebbe l’Italia ad una certa e onerosa procedura di infrazione.
Ora non resta altro da fare che “una procedura di selezione tra i candidati potenziali” più adatti per gestire le spiagge. E ai vincitori l’arenile andrà assegnato per una “una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico”. L’alternativa è lasciare le cose come stanno e mettere in carico al contribuente italiano altri oneri. Ma forse le coccole della destra ai concessionari sono finite.
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