Con Zelenskji in Ucraina sconfessata la politica anche se destra sconfitta

Chi cerca significati in quanto è accaduto nel week end in Ucraina ne troverà, per il momento, uno solo: una clamorosa sconfessione della politica che si è presentata davvero, in tutti i modi, come un segno dei tempi. L’attore comico Volodomir Zelenskji ha stravinto le elezioni rifiutandosi caparbiamente di fare il “politico”, non ha fatto comizi né costruito alleanze sociali, non è andato per chiese, mercati e uffici a chiedere voti, ha accettato un faccia-a-faccia con il suo rivale solo quando si è deciso di farne uno show allo stadio. Ha evitato accuratamente di presentare un programma che andasse oltre l’affermazione di vaghi princìpi di buona volontà. Eppure più del 70% degli elettori ucraini (ovvero: di quelli che sono andati a votare) ha voluto che il personaggio che lo aveva reso famoso e amato dalle folle televisive, il maestro della fiction “Sluga Narodu”, servo del popolo, diventato (nella finzione) capo della nazione per caso e senza volerlo solo perché aveva buoni princìpi, uscisse dagli schermi di una tv privata proprietà di un tycoon ucraino e della multinazionale dell’entertainment televisivo Netflix ed entrasse nel palazzo del potere vero, fuori dalla fantasia e dentro le complicazioni e le durezze della società così com’è fatta.

Che cosa ci si può aspettare per il futuro dell’Ucraina, e di tutta quella delicatissima area del continente che va dai paesi del blocco di Visegrád alla Russia neo-imperiale, dalla vicenda di queste elezioni, che pare la perfetta parabola del populismo trionfante (fino alla suggestione tutta italiana del comico puramente e semplicemente traslato in politica)? Le vaghezze con cui Sluga Narodu si è presentato agli elettori non ci aiutano. Il corso politico dell’Ucraina di Zelenskji è una tabula rasa sulla quale proveranno, probabilmente, a scrivere in molti. Il presidente polacco Andrzej Duda, per esempio, che è stato tra i primi a complimentarsi con l’attore eletto presidente, seguito a ruota da Donald Trump, consigliato dal suo incaricato speciale per gli affari ucraini Kurt Volker, testimone di quanto, e da molto tempo, a Washington si dedichino molte attenzioni a quanto succede a Kiev e dintorni. Ma anche Emmanuel Macron e, da Mosca, non certo Vladimir Putin cui ZelenskJi nella sua vita pubblica d’attore e uomo della tv non ha risparmiato frecciate, ma il capo del governo Dmitrji Mevdedev, nel messaggio del quale s’è potuta leggere addirittura una cautissima apertura di credito.

L’attore comico Vladimir Zelenskiy eletto capo del governo in Ucraina

Dalle poche cose dette durante la sua campagna elettorale molto sui generis e da smozzicate dichiarazioni dopo l’annuncio del suo clamoroso 73% è lecito ricavare solo qualche impressione. E, almeno sul piano delle relazioni dell’Ucraina con il resto del mondo, non paiono negative. Il neopresidente ha ribadito, certo, la scelta filo-europea e filo-occidentale di Kiev, cosa che da queste parti d’Europa vale quasi quanto una dichiarazione di ostilità aperta per Mosca, ma ha affermato che si sforzerà di far riprendere i colloqui di pace nel Donbass, sulla linea degli accordi di Minsk. Si tratta, certo, di un annuncio generico, ma che non è in alcun modo scontato, se si tiene conto dei sentimenti che scaldano gli animi di una parte molto consistente dell’opinione pubblica ucraina, esacerbata da cinque anni di guerra, con migliaia di morti, seguita alla sanguinosa ferita inflitta all’orgoglio nazionale dell’annessione della Crimea da parte della Russia nell’inverno del 2014. Sull’orgoglio ferito c’è una destra molto radicale e in molti casi esplicitamente fascista se non neonazista che ha costruito le sue fortune. Non solo in termini di adepti, ma anche in capacità di penetrazione e di influenza nel campo conservatore. C’è da pensare che questa destra estrema, la cui pericolosità, anche militare, è stata colpevolmente sottovalutata fuori dal paese, non sia affatto contenta della vittoria di Zelenskji.

È tutto da vedere se il comico diventato presidente vorrà, e potrà, dare seguito a questo buon proposito di dialogo. Ed è da vedere anche se il minaccioso vicino dell’est non deciderà che gli convenga boicottarlo fin dall’inizio per continuare a praticare la sua guerra strisciante per il controllo politico (se non la conquista territoriale) delle regioni russofone del bacino del Donec. Al fatto che il suo proposito Zelenskji lo abbia enunciato non è estranea, probabilmente, la circostanza che lui stesso sia nato a Kryvji Rih, una cittadina della regione contesa e che – cosa sulla quale hanno insistito malevolmente i suoi avversari elettorali – in passato nella sua carriera di attore abbia usato spesso e (forse) volentieri la lingua russa.

Se i russi, come si potrebbe desumere dal tono della dichiarazione di Medvedev volessero rispondere all’apertura del neoeletto presidente sul Donbass, avrebbero una carta perfetta da giocare: la restituzione a Kiev dei 24 marinai ucraini catturati nel novembre dell’anno scorso nello scontro avvenuto nelle acque dello stretto di Kerč. O, se volessero proprio far le cose in grande, l’apertura di una trattativa per lo scambio dei prigionieri catturati da una parte e dall’altra, molti gli ucraini meno i russi, negli scontri nel Donbass.