Con Amazon
dietro un clic
un lavoro senza diritti
Tutti a comprare un libro, un disco o un aspirapolvere. E a pretendere che il giorno dopo il prodotto ordinato sia tra le nostre mani, pronto per l’uso. Lo sforzo è minimo. Un computer o uno smartphone, una semplice pressione del dito e il gioco è fatto. Un secondo per il famelico consumatore digitale. Un’estenuante corsa contro il tempo per il lavoratore che sta dietro a quel clic. Se oggi Charlie Chaplin fosse nostro contemporaneo, il protagonista del suo capolavoro “Tempi moderni” non sarebbe un operaio con la chiave inglese, bensì un lavoratore Amazon con le scarpe da ginnastica. Ad accomunarli, la stessa catena di montaggio: luogo alienante e drammaticamente attuale anche in un’epoca globalizzata come la nostra.
Lo sa bene chi passa gran parte del suo tempo all’interno del colosso dell’e-commerce mondiale. Donne e uomini in continuo movimento per esaudire i desideridei clienti, mentre i propri, di desideri, vanno a farsi friggere. Eppure non chiedono la luna. Un contratto, uno stipendio decente e qualche tutela. Soprattutto perché il 2018 si è chiuso con numeri ancora una volta da record per la creatura dalle uova d’oro di Jeff Bezos. Negli ultimi tre mesi dello scorso anno, Amazon ha messo a segno un utile netto di 3,03 miliardi di dollari, un bel balzo dagli 1,86 miliardi dello stesso periodo 2017 (+66%). Un dato cui corrispondono vendite incrementate del 20% e una performance straordinaria dei ricavi pubblicitari, che aumentano del 95% a 3,39 miliardi di dollari.
Ma nell’immenso capannone piacentino di Castel San Giovanni (88 mila metri quadri, 12 campi da calcio per intenderci) girano altre cifre tra le busta paga degli addetti. Qui sono soprattutto ragazzi a lavorarci. Molti arrivano dalle province vicine, ma la geografia si sposta fino alla Sicilia per sconfinare nell’est Europa (romeni e macedoni soprattutto) e perfino nei paesi nordafricani. Cosa fanno lo sanno tutti, ma ufficialmente non possono dirlo. Prima di firmare il contratto di lavoro, firmano un altro foglio: un patto di riservatezza che li vieta espressamente di raccontare i metodi di lavorazione. Dei 1600 dipendenti, appena trecento sono sindacalizzati. Lo scorsodicembre, durante il Black Friday, si sono fatti coraggio è, per la prima volta nella storia di Amazon, hanno scioperato.
Un evento dal forte impatto mediatico che ha dato coraggio ad altri lavoratori della multinazionale di acquisti online ad alzare la testa. Martedì scorso a Milano hanno incrociato le braccia i colleghi corrieri lombardi. Categoria essenziale nella catena distributiva dei pacchi. I driver, questo il loro nome tecnico, sono infatti le uniche facce realmente visibili che chi acquista incontra nel complesso sistema di distribuzione delle merci. Diventano in definitiva il bigliettino da visita con il quale il colosso americano entra in contatto con i propri clienti. Ruolo importante, contratto adeguato, direte voi. Neanche per sogno. “Questi lavoratori – denunciano le sigle sindacali Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti – sono quelli sottoposti a ritmi di lavoro estenuanti, un numero di pacchi consegnati che arriva anche al doppio di quelli che mediamente consegna un driver. Un sovraccarico che mette a rischio la loro sicurezza e la qualità del servizio offerto”. Le aziende in appalto per accaparrarsi qualche rotta in più spremono i dipendenti per consegnare tutto ciò che gli è stato assegnato, anche quando il furgone è stracolmo di scatoloni. E non c’è meteo che tenga: sole, pioggia o neve, l’importante è smistare tutto e velocemente. Durante il periodo di novembre e dicembre il numero dei dipendenti assunti per le consegne dalle aziende in appalto è triplicato, ma erano tutte assunzioni a tempo determinato. Finito il Natale, finito il contratto.
Durante l’ultimo sciopero i lavoratori hanno chiesto un intervento responsabile di Amazon e un piano concreto sul carico di lavoro e sulle assunzioni per redistribuire le consegne, aumentare la qualità e costruire lavoro stabile. Perché, sottolineano, “se il futuro sarà digitale e smaterializzato le persone continueranno ad essere un valore”.Ma la tutela e i diritti di questi ragazzi passano anche e soprattutto dalla consapevolezza di noi consumatori. “Anche i cittadini devono porsi il problema di ragionare sulla qualità del lavoro”, ha detto Maurizio Landini parlando durante la protesta dei lavoratori (riascoltabile qui al link di RadioArticolo1). Lo stesso tipo di ragionamento, ha aggiunto il segretario generale della Cgil, lo devono fare la stessa Amazon e chi progetta le tecnologie, “perché in base a come funzionano ci sono persone ed esigenze”. La controparte del sindacato “non sono i precari sotto ricatto ma l’azienda che determina questo e non si fa carico di questi lavoratori, e chi pensa di sfruttare questa situazione”, ha continuato il leader di Corso d’Italia, secondo cui il sito di e-commerce “non può apparire come innovazione se poi dietro c’è quello che vediamo, con le condizioni di lavoro che vengono decise da un algoritmo”.
Speciale dallo sciopero dei driver di Amazon su RadioArticolo1: QUI
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