Ma ora la sinistra deve
per forza piegarsi
al dominio dei tecnici?

“Ma se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni”, cantava Francesco Guccini in quella bellissima ballata che è L’avvelenata. Ma nel caso della crisi di governo tutto questo lo avevamo previsto: sia i dati, sia la causa che il pretesto e soprattutto le conclusioni. Il leader di un piccolo partito che è nato rubando parlamentari a un altro partito in una grande operazione trasformistica, che quando era segretario del partito derubato ha fatto di tutto per rimpicciolirlo, ha concluso il suo iter decidendo di spaccare tutto.

La pazza crisi che travolge l’Italia

Prima ha aperto la crisi, poi ha fatto finta di non averla aperta, poi ha dato la colpa agli altri, poi ha salutato con entusiasmo la trattativa aperta per rifare il governo, infine ha fatto saltare tutto per aria. Eccola qui, riassunta in pochi passaggi, questa pazza crisi che travolge l’Italia nel momento peggiore della sua storia.

Aveva detto che lo scontro non era sulle poltrone perché lui alle poltrone ci rinuncia. Però risulta invece che il vero scontro è stato proprio sulle poltrone: su quelle che lui voleva sottrarre agli altri e su quelle che voleva imporre agli altri. Aveva fatto dimettere le sue due ministre senza quasi far loro pronunciare una parola in conferenza stampa e le ha lodate chiamandole per nome: Teresa (Bellanova) e Elena (Bonetti). Poi le ha tolte di mezzo e nel valzer del totoministri sono spuntati altri nomi, uno su tutti quello di Maria Elena, la geniale ministra delle Riforme del governo Renzi. Insomma, voleva affossare Conte e ha fatto di tutto per riuscirci.

Avanza la tecnica, la politica muore

Ma tutto questo è ormai acqua passata, inutile girarci attorno. Ora ci troviamo di fronte a uno scenario nuovo. Il presidente della Repubblica non l’ha presa bene e ha fatto sapere che di elezioni non se ne parla, vista la situazione drammatica (sanitaria, economica e sociale) in cui vive il Paese. Ha già affidato a Mario Draghi l’incarico di formare un governo tecnico, o del presidente o chiamatelo come volete. Alla fine ritorniamo al già visto, basti ricordare il governo Monti e le conseguenze che provocò soprattutto a sinistra. Ora avanza la tecnica, scompare la politica, muoiono, ancora un po’, i partiti che il tecnicismo e il personalismo della cattiva politica hanno già ridotto all’ombra di se stessi. Una grande sconfitta.

Cosa farà ora il Pd?

Il peso più grande ora, come sempre, è sulle spalle del Pd. Dovrà sopportarlo senza battere ciglio, piegandosi per l’ennesima volta per senso di responsabilità a sostenere un governo tecnico? Oppure potrà finalmente ribellarsi agli scenari decisi da altri e alzare la voce? Perché un dato è certo: come si fa, in questo Parlamento, a sostenere un governo tutti insieme? Zingaretti e Salvini? Speranza e Meloni? Di Maio e Berlusconi? Come direbbe quello: ma che c’azzeccano? Assolutamente nulla. Destra e sinistra esistono eccome, hanno idee diverse su tutto, figurarsi se possono gestire i fondi del Next Generation Eu e affrontare una pandemia che ancora uccide centinaia di persone ogni giorno.

Non so che cosa deciderà di fare il centrosinistra, non so se il Pd e Leu decideranno di accettare obtorto collo questa ennesima capitolazione. Perché, al di là della persona che Mattarella ha scelto per cercare di formare il nuovo governo, questo è l’ennesimo passaggio nella storia di un Paese eternamente in bilico, sempre incompiuto, sempre in stato di eccezione.

Dire di no a Draghi?

Non sarà ovviamente facile per il centrosinistra dire di no a Mario Draghi, non sarà facile sottrarsi e sicuramente non si sottrarrà a meno di colpi di scena che rendano impossibile il nuovo percorso politico. Ma verrebbe la voglia di incitare affinché lo faccia. Per rivendicare la centralità della politica, la coerenza dei comportamenti, la differenza tra destra e sinistra, il conflitto tra i programmi e tra le idee, il valore della responsabilità. E quindi, anche se è comprensibile la scelta del capo dello Stato, la decisione di non tornare alle urne per dare la parola agli elettori non ci pare, nemmeno in un momento così difficile, del tutto preclusa e impossibile. Succede, è successo, anche in altri Paesi europei. Forse, qui da noi, un voto potrebbe fare piazza pulita di tanta demagogia a buon mercato che, per furbizia, ci ha portato fin qui.