Dal punto di vista drammaturgico, della scrittura del testo, l’interessante parabola dei cinque stelle nei giorni che ci riguardano ha scolpito una parola chiave. E’ “Amen”, breve, intensa nonché nuovo fulcro della storia a venire. E non è venuta da Grillo oppure da Casaleggio, è uscita ad una loro creatura, Di Battista, il rincalzo sempreverde ora molto vibrante.
Il contesto è importante. Di Battista ha risposto pressappoco così proprio a Grillo, non direttamente, ma durante un suo commento affidato alla stampa: vedo che Grillo non è d’accordo con me e le mie proposte…. “Amen”. Amen? E che vuol dire “Amen”? Vuol dire, secondo una accezione comune, “Pazienza… accada quel che deve accadere”, ma, certamente anche “Chissenefrega, dica pur la sua”, e sinceramente nessuno si era mai permesso di arrivare a tanto nella relazioni con il Grande Bonzo delle origini, liquidato adesso come nonnetto rincoglionito al quale si vuol sempre bene, forse, “ma in vacanza con lui anche quest’anno non ci vado, mamma….”.
E’ divertente seguire cosa stia avvenendo tra i cinque stelle più in vista a proposito dell’area degli affetti traslati in politica. C’è stato un tempo in cui ogni volta che in tv veniva chiesto a uno di loro qualche cosa che aveva a che fare con Grillo, ecco che si poteva assistere ai segni di una commozione da groppo in gola. Amore indicibile.
Cuori infranti
Il presente sembra molto meno morbido, il cinismo si fa strada nella commozione, la famiglia si sgretola mentre entra in una atmosfera da film danese, tipo una famiglia in un interno, e nessuno ama più nessuno. Non è vero! Raggi ama Grillo, lei un cuore lo ha mostrato in tv, giusto per garantirsi l’appoggio del “padre” e del partito nel difficile tentativo di restare sindaca in Campidoglio.
Anche il cuore è un teatro. Quindi, non sono tutti come Di Battista, anche se, è vero, è quello che fin qui ha intascato meno dalla fase trionfante dei Cinque Stelle. Proprio niente no: gli hanno pagato trasferte lunghissime di qui e di là del mondo sperando consolasse la sua frustrazione acquisendo i connotati degni di un immenso giornalista che scopre le magagne dell’umanità. Qualche decina di milioni di italiani senza speranze vorrebbero ricevere premi di consolazione simili a questo. Progetto fallito: Di Battista non sarà un genio del reportage, ma non lo imbalocchi con le perline e gli specchietti, lui bada al sodo, non lo incanti.
Gli stati generali di Dibba
In questi frangenti, il carattere ha un ruolo decisivo: Di Battista, il Grande Escluso, si muove con la determinazione e con l’orizzonte stretto di un ambulante al quale i colleghi hanno fregato un banchetto, e nulla può riportarlo a sensi meno combattivi. Nemmeno l’aperta sconfessione ad opera del dio del “vaffanculo”. Per questo, sull’onda di un ritorno sulle scene più volte annunciato, aveva fatto sapere che questo governo non gli piace, che è tutto sbagliato quel che si sta facendo, che vuole gli stati generali del partito per produrre una nuova dirigenza. Non ha detto che Di Maio sarebbe una capra, ma c’è da giurarci che Di Maio, neppure lui sarà un genio, l’ha capita lo stesso.
A questo pacchetto di richieste Grillo aveva risposto con una energia giovanile proprio sul Blog che per lui Di Battista poteva andare a pescare. Di qui, quell’”Amen”, tagliente e forte: con questa parola viene per la prima volta messo in discussione il potere che ha governato a lungo il partito, quell’Amen è del tutto eretico. Di più, questa contestazione fondamentale viene messa in scena non da chi sta salutando polemicamente i cinque stelle, ma da uno dei capi che nel partito sta ben dentro.
La Grande Frattura
Un momento, un momento…. Ma di che stiamo parlando? Di chi aveva sostenuto che la politica, la vecchia politica, era morta? Che gli altri eran tutti cadaveri putrescenti e loro invece gli arcangeli della vendetta e di una luminosa ghigliottina storica? E non è mica finita, anzi. La Grande Frattura risale e spacca il quadro dei padri fondatori, perché se Grillo, filogovernativo, filo-contista, addirittura neo-filo-europeista, mostra i denti a Di Battista, è come se li mostrasse a Casaleggio, figlio di quello che con lui ha dato vita a questo sorprendente soggetto politico.
A Casaleggio, infatti, è legato Di Battista che a sua volta colleziona un drappello di personaggi di mezza levatura comunque nostalgici dell’avventura di governo con Salvini. E son quelli che a quanto sembra detestano il Mes come la Tav, l’Europa come l’atlantismo ma non da posizioni di sinistra, che pure esistono. E forse fanno gli occhi dolci a Putin, tanto per ricordare che il contesto internazionale è ben presente in questa foschia cinque stelle.
Condensando condensando, conviene ammettere che la situazione è intricatissima e purtroppo non ancora in grado di divellere i legacci di potere che hanno informato l’esistenza del M5S. Poiché, chi contesta Di Maio, Conte, l’alleanza con il Pd si muove quantomeno con il consenso di Casaleggio, che è tuttora il titolare della macchina, mentre chi contesta questa deriva pilotata a vista da Di Battista opera in conformità con il piacere di Grillo, padre spirituale del non-movimento.
Quindi, in un caso come nell’altro, non si recide il rapporto di potere con il tabernacolo fondativo, semmai se ne riduce lo spazio. Benché proprio questa recisione consentirebbe al M5S di conquistare l’autonomia che gli serve per sapere finalmente chi è e cosa vuole, aldilà delle veline della Langley lombardo-ligure.
In tutto questo, Di Maio fa la volpe: eccolo sostenere l’utilità di un gruppo dirigente complesso, al posto di un unico reggente. Lui che non potrà mai più tornare al comando del partito e che dovrebbe chiudere presto la sua avventura politica, cerca di accomodare e di tenersi una poltroncina anche di seconda fila. Ne ha imparate di cose… Anche se Grillo respinge la proposta e preferirebbe rinviare la conta congressuale blindando Crimi. Ma son quisquillie.
Tutto questo avviene mentre i cinque stelle rosicchiano punti in salita, forti evidentemente del gradimento di cui fin qui ha goduto il governo in cui operano. E non si può non ricordare che avvenisse esattamente il contrario nel corso della “brillante” esperienza di governo con Salvini, quando il leader della Lega ingrassava con i consensi che strappava al suo alleato di governo. Neppure va dimenticato che, fosse dipeso dal partito di Grillo e Casaleggio, quella maggioranza sarebbe ancora in piedi: senza il pretesto che miracolosamente Salvini ha offerto ai suoi compagni di banco dichiarando morto il suo governo, Di Maio non avrebbe cessato la sua campagna sui taxi del mare, contro le Ong che salvano i migranti.
Piace molto, in tv, chiedersi se a questo punto il Movimento Cinque Stelle si spaccherà oppure no. Ed è ragionevole immaginare che, date le distanze maturate tra le varie posizioni, la separazione sia opzione più che possibile. Ma sono al governo… questo è il guaio, in un governo che ha saputo inchiodare il senso di umanità al primo punto della sua azione in tempi di virus. Non è poco, soprattutto guardandosi attorno, a ciò che è avvenuto altrove anche non lontano da noi, dove il cinismo e una nuova ferocia che tendono a marginalizzare, a rendere superflua la vecchiaia si sono caricate sulle spalle migliaia di morti e una ferita dura da dimenticare.
Governo sì. governo no
Se faranno cadere il governo riceveranno beneficio oppure si ridurranno ad un club molto esclusivo al quale Salvini offrirà due stanze in via Bellerio? Impareranno a gestire, probabilmente, questo nuovo guado interno, in modo che ciascuno riceva ciò che si augura senza produrre sfracelli non recuperabili. A Di Maio il suo governo, a Di Battista il ruolo di scalpitante interprete perennemente in attesa di battuta all’acido. Nella certezza che se cade il governo viene meno la scena, il fondale che consente questa “vitalità”, che garantisce un pubblico.
Ma Grillo e Casaleggio? Se non si separano loro due, perché dovrebbe dividersi la loro creatura? Tempi grami per loro, nonostante tutto. La vicenda dei tre milioni e mezzo che il governo venezuelano avrebbe versato nelle tasche di Gianroberto Casaleggio nel 2010 per aiutare la nascita del M5S, volteggia da giorni sulla testa della Casaleggio Associati. I documenti ci sono, o sembrano esserci, pare tuttavia che siano viziati da alcune inesattezze burocratiche sospette nell’intestazione che toglierebbero credibilità alle carte prodotte.
C’è da chiedersi perché, nel caso augurabile si tratti di una macchinazione senza alcun fondamento, i diabolici inventori della “Stangata” che – sorprendentemente in sintonia non voluta con i progetti di Di Battista – mette in discussione il governo di uno dei paesi più importanti della terra, si siano permessi di intestare le prove con lo stile di uno scugnizzo svagato. Ma tutto è possibile. Proprio tutto: bello, trama avvincente, colpi di scena garantiti, sceneggiatura arruffata e brillante, e una morale non urlata ma lasciata ai fatti, al loro linguaggio.
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