Cinque proposte perché l’Europa sappia governare l’immigrazione

LoSe si prendono in considerazione le analisi dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ma anche dello stesso Consiglio dell’Unione europea insieme alle previsioni sullo sviluppo o meglio sul mancato sviluppo del continente africano e le si affiancano agli effetti prevedibili dei conflitti nel mondo, dei disastri ambientali e della rarefazione del cibo e dell’acqua ci si rende conto che l’aumento dei flussi migratori degli ultimi mesi sulla rotta del Mediterraneo occidentale che coinvolge le coste italiane dai 7000 arrivi nel 2011 ai 30000 arrivi nei primi tre mesi del 2023 non ha nulla a che fare con una reale emergenza o con una calamità naturale che possa essere risolta in sei mesi con l’attribuzione di poteri speciali ad un commissario alle dipendenze dei ministri Piantedosi e Musumeci e uno stanziamento di cinque milioni di euro.

Non è un’emergenza

La gestione dei flussi migratori in tutte le rotte che spingono centinaia di migliaia di persone a lasciare il loro territorio per allontanarsi dalle guerre, dalle persecuzioni, dalla fame e dalla espropriazione delle terre non è un evento emergenziale né tanto meno una catastrofe provocata dall’ambiente ma un tema centrale di una politica di pianificazione strutturale che non può essere affrontato e risolto da un singolo Stato in nessuna parte del mondo. Basti riflettere sul fatto che la maggior parte dei flussi migratori percorre rotte all’interno di singoli paesi o da una frontiera all’altra di paesi dell’Africa sub-sahariana, che milioni di rifugiati hanno trovato asilo al di fuori dell’Unione europea, che sei milioni di palestinesi vivono da anni in una inaccettabile situazione di diaspora globale per non parlare dei curdi e delle altre diaspore che affliggono milioni di persone sul pianeta e che, per rimanere chiusi all’interno dell’Unione europea, la quota dei richiedenti asilo e dei cosiddetti migranti economici che vive in Germania o in Francia è infinitesimamente superiore alle poche migliaia di persone che riescono a raggiungere le coste italiane lasciando dietro di loro un fiume dolente di naufraghi e di donne, bambini e uomini rigettati indietro nei campi di concentramento libici.

La coalizione che governa oggi in Italia ha ostacolato per anni in Europa la revisione del regolamento di Dublino quando ci sarebbero state le condizioni per superare l’arcaico sistema del “paese di prima accoglienza” e quando la Commissione e il Parlamento europeo avevano posto sul tavolo dell’Unione europea ben prima di Giorgia Meloni il principio secondo cui la politica migratoria era ed è un problema europeo e non la somma di problemi nazionali, ma fu la coppia Giuseppe Conte a Palazzo Chigi e Matteo Salvini al Viminale ad imporre nel giugno 2018 la violazione del Trattato di Lisbona esigendo che quel regolamento si modificasse solo all’unanimità condannando il sistema europeo all’immobilismo. Da allora le condizioni politiche nell’Unione europea fra i governi nei paesi membri sono involute progressivamente verso la difesa di apparenti interessi nazionali e i nuovi sovranisti al potere ideologicamente abbracciati a Giorgia Meloni e a Matteo Salvini sostengono sulle politiche migratorie posizioni radicalmente opposte agli interessi dell’Italia, la quale dovrebbe spingere verso una programmazione di un governo europeo dei flussi migratori.

Paure infondate

Dobbiamo anche dire che l’idea di un’Europa che chiude le sue frontiere si espande a macchia d’olio perché i governi soffiano sul fuoco di ancestrali e infondate paure di una parte delle opinioni pubbliche che temono i rischi di un’invasione di “stranieri” e della perdita delle nostre identità occidentali. La risposta emergenziale immaginata dal governo italiano per molte ed evidenti ragioni è un tragico errore ma, quel che è più grave, nasconde il vero scopo di Giorgia Meloni, Matteo Piantedosi e Matteo Salvini di usare le regole dell’emergenza per imporre decisioni di polizia in deroga alla Costituzione e al diritto internazionale con l’obiettivo di velocizzare e aumentare i rimpatri.

Foto di Dimitri Wittmann da Pixabay

La strada da percorrere per governare l’insieme dei flussi migratori che riguardano sia i richiedenti asilo che i cosiddetti migranti economici deve essere invece europea e non solo italiana, concordata con le organizzazioni internazionali a partire dalle Nazioni Unite e dalla FAO. Si tratta innanzitutto di porre le basi di una Mare Nostrum europea invertendo la rotta della Agenzia Frontex affinché essa possa agire nella acque internazionali per sottrarre chi fugge dal Nord Africa ai trafficanti di essere umani e alle motovedette libiche (sia ricordato en passant fornite dall’Italia) con un investimento nel bilancio europeo che può giungere nei prossimi tre anni fino a un miliardo e mezzo di euro sottraendo queste risorse alla costruzione di “strutture di protezione” (= muri), per creare veri corridoi umanitari o strutture di accoglienza provvisoria nei paesi di provenienza dei migranti laddove le condizioni locali lo consentono o aiutare organizzazioni non governative nelle loro azioni umanitarie.

Gli obiettivi della conferenza

Si tratta di avviare delle forme di partenariato pubblico/privato nella logica degli obiettivi dello sviluppo sostenibile a sostegno dei poteri locali per creare delle strutture adeguate alla permanenza dei migranti in attesa del diritto di asilo affiancandole con la realizzazione di servizi essenziali per i minori non accompagnati, per i mediatori linguistici e per l’avvio di relazioni con simili comunità etniche evitando tuttavia forme di ghettizzazione. Si tratta di promuovere attività di formazione per l’inserimento nel mondo del lavoro per chi ottiene il diritto di asilo e un permesso di soggiorno o l’estensione del servizio civile nazionale e del servizio volontario europeo ai giovani rifugiati in attesa del loro inserimento nel mondo del lavoro. Si tratta infine di promuovere una Conferenza internazionale per una nuova politica migratoria che sia promossa dalla presidenza spagnola del Consiglio dell’Unione Europea nel secondo semestre del 2023 e dunque in tempo utile prima delle elezioni europee nella primavera del 2024. Essa dovrebbe essere organizzata secondo il modello della democrazia partecipativa adottato dalla Conferenza sul futuro dell’Europa e dunque con la presenza attiva delle organizzazioni che lavorano nei paesi di origine partendo dall’impegno che il Migration Pact sia adottato da tutti i paesi dell’Ue e quindi anche da Austria, Bulgaria, Croazia, Estonia, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria che non parteciparono nel 2018 alla Conferenza di Marrakech e che si astennero o votarono contro il Patto Mondiale nella Assemblea delle Nazioni Unite del 19 dicembre 2018. A conclusione della Conferenza dovrebbero essere a nostro avviso adottati:

1) una nuova Convenzione che sostituisca integralmente il Regolamento di Dublino,
2) un protocollo, da accludere al Trattato di Lisbona e in vista della sua più ampia revisione, che superi il capitolo 2 del titolo 5 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sulle politiche relative ai controlli delle frontiere, all’asilo e all’immigrazione,
3) una proposta di bilancio rettificativo e suppletivo per creare uno strumento finanziario per il salvataggio in mare (European Sea Rescue o Mare Nostrum europeo) e per porre le basi di una Banca Euromediterranea per dare un impulso decisivo alla cooperazione economica dell’area e favorisca la cooperazione sub-regionale,
4) un mandato alla Commissione europea ed all’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza di proporre al Consiglio e al Parlamento europeo un ampio piano di cooperazione allo sviluppo di tutto il continente africano per contribuire alla realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile sulla base di un partenariato pubblico-privato,            5) un programma di educazione delle giovani generazioni in Europa e in Africa che integri e rafforzi le politiche di accoglienza e di ospitalità.